Daniele Raspini
Direttore Asp Martelli
Il Direttore che ascolta gli ultimi e crea un’organizzazione di successo
L’ASP Martelli non è solo una moderna Azienda Pubblica di Servizi alla Persona che si occupa di garantire l’assistenza agli Anziani del territorio del Valdarno Fiorentino, ma un’Organizzazione Positiva, davvero eccellente sotto molti punti di vista (per la qualità dei servizi offerti, per il livello tecnologico d’avanguardia, per i risultati economici e la gestione sostenibile della struttura, per il suo impatto sociale, la reputazione e l’immagine). Qual è il segreto di questo successo? Secondo noi, e non siamo le uniche a pensarlo, molto dipende dalle “qualità” del suo leader, anche se lui non lo ammetterebbe mai (e capirete presto perché…). Daniele Raspini è il Direttore di questo splendido luogo di cura, attenzione e benessere (che ha una lista d’attesa di 150 persone su 100 posti disponibili e tempistiche che vanno da svariati mesi a qualche anno per accedervi) da vent’anni. Impossibile pensare che non ci sia la sua impronta in questa storia di crescita e successi continui, anche se non lo sentirete mai dire “Io”, perché al contrario parla sempre in termini di “Noi”: forse questo è già un indizio della sua levatura umana. E dunque, chi è Daniele?
Perché “esiste” il Centro Martelli? Qual è lo “scopo” dell’organizzazione?
Nei primi anni del 1900 a Figline Valdarno era molto sentita la necessità della costruzione di un ricovero ove dare accoglienza ad anziani ed indigenti del paese e delle campagne circostanti. Al tempo, le iniziative di natura socio-assistenziale erano demandate alle Congregazioni di Carità, organismi di diritto pubblico istituiti in ogni comune del Regno dal 1862 con lo scopo di curare l’amministrazione dei beni destinati a beneficio dei poveri.
La Congregazione di Carità di Figline promosse perciò una raccolta di fondi necessari alla realizzazione dell’ospizio ad al suo mantenimento; a tal fine fu nominato un comitato esecutivo formato dai notabili del posto tra i quali spiccava il Cav. Lodovico Martelli, il quale si fece carico di donare la ingente somma di £ 80.000 per la sua costruzione (in ricordo di questo atto di beneficenza la casa di riposo fu a lui intitolata).
Oggi la Martelli è una moderna Azienda Pubblica di Servizi alla Persona che si occupa di garantire l’assistenza agli Anziani del territorio del Valdarno Fiorentino. Attualmente sono accolti oltre 100 anziani in forma residenziale e semiresidenziale, con un modulo specialistico per la gestione di particolari patologie come l’Alzheimer.
Qual è il tuo “perché”? Perché hai scelto di fare questo lavoro?
Ricordo chiaramente quando sono stato chiamato a collaborare con l’allora IPAB Martelli all’indomani del prematuro decesso dell’allora collega ed Amico Direttore che morì prematuramente.
Non ho avuto molto tempo per decidere se restare nel mio ruolo di impiegato comunale oppure se cambiare completamente settore ed andare a lavorare “al Ricovero”: questo era il termine con il quale veniva identificato il Martelli, per tutti era il vecchio ricovero. Tutti i miei ex colleghi, tranne un vecchio e caro amico, mi scoraggiarono a prendere quella decisione che apparentemente sembrava assai azzardata perché il futuro della Martelli era al quanto incerto in quanto era iniziato un processo di rinnovamento con il restauro conservativo e l’ampliamento della struttura, ma subito dopo la ditta aveva fallito.
Molte incertezze incombevano su questo luogo: vi era una accesa discussione politica locale sulla necessità di fare un ampliamento della Martelli, alimentando dubbi ed incertezze, ma non so perché, non so come, ho sentito una certa attrazione per questa sfida: dimostrare che quel luogo poteva ritornare agli antichi splendori. A me piacciono molto le sfide, soprattutto con me stesso. Cosi mi sono detto: perché non accettare!! Questa è stata in assoluto la “scommessa” più ardua di tutta la mia vita (per adesso) in quanto non avevo specifiche competenze nel settore, ma tanta, tanta, tanta volontà, determinazione e voglia di apprendere.
Ed eccomi qua!! Oggi dopo 20 anni di servizio posso dire di aver fatto bene ad aver dato ascolto a quell’intuizione. Un sentito ringraziamento va sicuramente all’allora Presidente Alessandro Tempesti (ne è doverosa la citazione), che mi aveva fortemente voluto allora ed al quale devo molto per avermi insegnato e trasmesso parte delle sue conoscenze e competenze.
Com’era il Centro quando sei arrivato tu? Quanti operatori e ospiti aveva? Quale clima si respirava?
Questa forse è la domanda più bella perché mi riporta alla mente il mio primo giorno alla Martelli, come non ricordarlo….Arrivo, come ancora oggi faccio, con la mia vecchia bicicletta (eredità di mio nonno) all’ingresso della Martelli; non sapendo dove parcheggiarla la metto davanti alla struttura e mi reco in ufficio. Prima di arrivare in ufficio trovo tutti gli anziani (una trentina) in una saletta antistante l’ingresso disposti su tre file come fossero al cinema rivolti verso la vetrata. La struttura era vecchia e fatiscente ma la nuova struttura, o perlomeno parte di essa, era quasi pronta, ma non poteva essere utilizzata perché mancavano le autorizzazioni. Quell’immagine dei nonni così disposti è scolpita nella mia mente e sicuramente ha contribuito ad accelerare il processo di trasformazione della Martelli.
Al momento del mio arrivo, peraltro solo in ufficio in quanto unica figura amministrativa, erano presenti 16 dipendenti operatori socio-sanitari ed una suora infermiera, che si prendevano cura di 40 anziani prevalentemente autosufficienti. Ovviamente ci occupavamo di tutto, dalla cucina al servizio di lavanderia oltre alle attività esterne in giardino. Era veramente rimasto il vecchio Ospizio di una volta, con bagni comuni e con camerate a 4 posti letto, ma da li a poco vi sarebbe stata una profonda trasformazione. Va detto però che da parte della cittadinanza vi è sempre stata una particolare attenzione per la casa di riposo, venivano volontari ad aiutare, qualche scolaresca per Natale e molti singoli cittadini che portavano le cose non più in uso come abiti vecchi, scarpe, ed anche effetti letterecci.
Da bambino, ricordo che mio padre mi portò alla casa di riposo a consegnare una parte di dolce avanzato per la mia comunione. Tutto questo è rimasto ancora oggi nella mente e nel cuore dei cittadini del nostro territorio. Come detto però presto tutto sarebbe cambiato, in quanto il processo di trasformazione che era in atto avrebbe consentito di ampliare la struttura passando così in breve tempo da 40 a 60 posti letto prevalentemente per ospiti non-autosufficienti.
Hai potuto scegliere i tuoi collaboratori? Se sì, come li hai selezionati? Lo scopo dell’organizzazione o i tuoi valori hanno avuto un ruolo di guida in questo processo?
La prima scelta importante avviene proprio nel periodo iniziale della mia permanenza alla Martelli in quanto dopo alcuni anni, necessari per il completamento ed ammodernamento della struttura, si è presentata la scelta se assumere direttamente personale alle dipendenze della IPAB (da considerare che si tratta di personale pubblico, al quale viene applicato il contratto collettivo nazionale degli enti locali) oppure procedere con l’esternalizzazione di parte dei servizi.
A questo proposito c’è da dire che vi sono diverse scuole di pensiero. Alcune propendono per l’esternalizzazione dei servizi, altre per l’internalizzazione dei servizi motivandone le ragioni per continuare a mantenere l’attività “core” internamente. Noi con l’allora Consiglio di Amministrazione scegliemmo la strada dell’esternalizzazione, attraverso un appalto di servizi. Questa è stata sicuramente una scelta azzardata, ma poi per le evoluzioni che abbiamo avuto, si è rivelata una scelta vincente, anche se molto impegnativa.
Per quanto riguarda la scelta del personale si è potuti intervenire in quelle situazioni dove venivano richieste particolari professionalità espresse da liberi professionisti, che hanno garantito la qualità necessaria. Prevalentemente si è lavorato sulla materia umana che avevamo a disposizione. Sicuramente i valori ai quali mi sono sempre ispirato sono stati da guida nel processo di trasformazione della nostra azienda, in quanto hanno sempre messo al centro i bisogni della persona, sia essa l’anziano ospite oppure il giovane operatore, entrambi portatori di bisogni, necessità, ma anche valori da non sottovalutare mai.
“Sapere che ci sono
modelli innovativi e replicabili
fa capire dove siamo
e dove vogliamo andare.”
Se non hai potuto scegliere direttamente i tuoi collaboratori, come e cosa hai fatto nel tempo per motivarli, ispirarli, trasferire loro la tua visione e realizzare la trasformazione del Centro da una modesta ad un’eccellente organizzazione?
La prima cosa in assoluto che ho sempre tenuto ben presente è stato “essere di esempio” per gli altri, “sacrificandosi” in prima persona. Questo ovviamente supportato dall’acquisizione dii specifiche competenze si è dimostrato nell’arco della mia vita professionale forse la caratteristica più importante, assieme all’eterna curiosità che mi contraddistingue. Da dire che quando ancora non avevo una diffusa conoscenza della materia mi sono imbattuto in una docente, una formatrice UNICA che per prima mi ha trasferito principi e valori che ancora oggi fanno parte del mio bagaglio esperienziale ed ancora mi guidano ed orientano. Se volete si tratta di principi molto semplici, ad esempio ci diceva:
….voi Direttori, prima di entrare in ufficio ed accendere il vostro computer andate a dare il “buongiorno” ai vostro anziani, perché non c’è cosa più importante che possiate fare. Oppure ci faceva riflettere sul fatto che ognuno di noi nella propria abitazione ha molti effetti personali, in soggiorno in cucina, in camera, dalle foto dei figli ai dischi in vinile, dalla sciarpa della squadra del cuore, dalla copertina della nonna, alla tazza che veniva dal viaggio fatto molti anni prima, insomma una vita in pillole. Invece quando un anziano arriva nelle nostre case di riposo è già strato “depredato”
per varie ragioni (non c’è spazio sufficiente, oppure si è cambiato casa, oppure ancora la badante si è impossessata di tutti gli effetti personali). E’ qui che noi dobbiamo mettere in campo tutte le energie e le risorse affinché si possa costruire quell’ambiente familiare come fosse casa propria.
Quali sono i principali processi, le procedure, le pratiche, le iniziative e le politiche verso gli operatori, i pazienti e i familiari che rendono il Centro Martelli un’organizzazione positiva, tanto da diventare un modello per altre strutture?
Vorrei partire da un diagramma che nel corso di questi anni abbiamo costruito e che cerchiamo di diffondere come uno dei nostri principi più importanti. Si tratta di un processo di crescita culturale partendo dal contratto che ognuno di noi è chiamato ad onorare a seconda della propria mansione o del proprio ruolo all’interno dell’organizzazione e che peraltro, per una serie di oggettive ragioni, ognuno di noi rispetta parzialmente; mi riferisco a quando uno è distratto o preoccupato da questioni di salute oppure dai figli o ancora da distrazioni legate a passioni come calcio, moto, ballo, ecc. ecc. che si intersecano con il mondo del lavoro e che sono naturali.
Ma a noi non interessa questo e non si è mai intervenuti nel limitare o presidiare questi aspetti (ovvio là dove non si trasformino in eccessi), invece si va a valorizzare aspetti che escono dalle normali competenze di ogni famiglia professionale, siano essi infermieri, operatori, animatori o fisioterapisti. Si valorizzano ed incentivano quelle situazioni dove ognuno di noi mette impegno, responsabilità, interesse, ma anche attaccamento, partecipazione, passione fino ad arrivare all’eccellenza. Questa è un po’ la formula magica che nel corso degli anni ho cercato di trasmettere a tutti partendo dai miei più stretti collaboratori. Ovvio non puoi sempre essere eccellente, ma se quando ti trovi ad operare in un determinato settore non ti arrendi alle evidenze, vai in profondità e cerchi soluzioni anche alternative/innovative questo fa per noi la differenza.
Vi sono molti esempi che potrei raccontare su come questo sia per noi oggi un valore acquisito e ci porti a raggiungere determinati obiettivi. Per esempio, mi viene in mente quella volta quando avevamo organizzato un servizio per giovani disabili i quali ci avevano invitato a cena nel loro appartamento, ebbene la nostra fisioterapista arrivò con un bel dolce, di per sé questo era stato qualcosa di non richiesto e sicuramente apprezzabile, ma la cosa che sorprese tutti quando arrivammo ad aprire il dolce fu che la fisioterapista si era impegnata a realizzare con la pasta di zucchero una decorazione raffigurante il logo del nostro progetto.
Oppure quando tutti assieme gli operatori del nuovo modulo si attrezzano per dipingere ed arredare il bagno assistito, ma anche quando l’operatrice del Modulo Arcobaleno si mette a ricamare, a punto croce, il logo ed il nome del modulo da mettere fuori dalla porta. Potrei continuare a lungo con questi esempi che ci danno la dimensione di quanto l’attaccamento, la passione e la partecipazione portano verso l’eccellenza di un servizio.
Ne ho avuto la conferma proprio pochi giorni or sono partecipando ad una cena di gala per la raccolta fondi a sostegno del Meyer, ospedale pediatrico fiorentino. Avevo accanto a me il Direttore Generale di questo importante ospedale fiorentino, ho chiesto: “che cosa fa del Meyer l’eccellenza che oggi rappresenta a livello nazionale”?
La risposta è stata l’attaccamento che tutto il personale mette nel fare il proprio lavoro, questo fa la differenza. Beh, detto da chi gestisce 1.800 dipendenti non è poca cosa. Ha anche sostenuto, rafforzando i miei convincimenti, che certi risultati si possono ottenere anche gestendo aziende grandi e complesse come è il Meyer di Firenze. Il primo aspetto da affrontare è di natura culturale ed è superare lo scoglio dell’appartenenza, perché introdurre un cambiamento culturale che riguarda un gruppo di operatori che afferiscono ad un solo datore di lavoro è più semplice quando devi implementare un modello, ma diventa più complesso quando ti trovi davanti il personale della società di ristorazione o il personale della cooperativa sociale che hanno un diverso contratto e diverse regole, oppure liberi professionisti che sono completamente svincolati da contratti.
Per questo ho da sempre valorizzato “la Martelli” come entità valoriale, come Team, cercando di non accettare che si parlasse delle singole regole o delle singole società. Questo passa attraverso, per esempio, divise da lavoro che non riportassero i singolo loghi della società per le quali il personale lavora ma più in generale la scritta “Team Martelli”, perché ognuno di noi prima di appartenere alla società per la quale lavora fa parte della grande famiglia Martelli.
Questo è un lavoro certosino pieno di insidie e di difficoltà, ma a corsa lunga dà i suoi frutti. Noi oggi siamo il “Team Martelli” o meglio il “Dream Team” e questa è la nostra forza, non singoli operatori ma una vera e propria squadra affiatata e stimolata alla ricerca delle migliori soluzioni per garantire ai residenti quel benessere di cui hanno bisogno. Per fare ciò c’è bisogno sempre di stimoli nuovi e per questo siamo divenuti “globetrotter dell’assistenza”, abbiamo implementato una modalità che ci porta a viaggiare per il mondo alla ricerca di soluzioni innovative per migliorare sia il modo di lavorare che il modo di assistere. Per darvi una dimensione dei nostri viaggi (totalmente autofinanziati e a costo zero per l’azienda) vi basti pensare che negli ultimi 10 anni siamo andati nei seguenti paesi: Danimarca, Slovenia, Canada, Stati Uniti, Francia, Spagna, Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Islanda, Ungheria, South Africa, ecc. ecc. ma anche in Italia, confrontandoci con le migliori realtà del Trentino Alto Adige, Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, ma anche con i colleghi più vicini a noi della Toscana, come Montaione, Volterra, Arezzo, Montevarchi, Firenze, solo per citarne alcune. Questi momenti, che sono ovviamente aperti a chiunque voglia partecipare con la sola regola che ci dobbiamo pagare soggiorno e viaggio, ci consentono di costruire relazioni e rapporti interpersonali e non solo professionali che poi sono la chiave vincente della nostra organizzazione.
Per quanto riguarda invece le procedure, le pratiche, le iniziative e le politiche verso i residenti c’è da dire che tutto ruota attorno a loro, attraverso il loro coinvolgimento sempre maggiore nelle dinamiche che riguardano i servizi. Per esempio non ci sogneremmo mai di costruire un menù senza aver preso in esame, attraverso Focus Group e incontri con i residenti, il direttore e la cuoca, i pareri sugli apprezzamenti e le cose che devono essere cambiate, migliorate, integrate.
Oppure chiedendo ai residenti come vogliono gestire le uscite, se andare al mercato oppure ai grandi Magazzini, se andare a vedere un museo oppure al frantoio o in visita per cantine. Tutto questo ovviamente è per loro di stimolo e li rende partecipi nelle dinamiche organizzative. Infine, ma non ultimo i rapporti con i parenti, i volontari e gli amici che vengono all’interno delle nostre strutture. Vi sono programmi di ascolto e condivisione dei percorsi che si intendono perseguire. Penso alla richiesta di potenziamento delle attività durante i giorni festivi emersa da una parente e subito presa in carico, così come al giovedì della caffetteria dove anziani, parenti, volontari e dipendenti si ritrovano tutti assieme per fare dei piccoli lavori che poi vengono confezionati e venduti durante le festività natalizie o nei mercatini che si organizzano. Insomma tutto è incentrato verso la massima integrazione e collaborazione reciproca come avviene normalmente in una famiglia: la nostra è una famiglia allargata nel vero senso della parola.
Quali sono gli indicatori di “successo” del Centro? Quali risultati positivi (es. lista d’attesa, riduzione costi, turnover, assenteismo, altri?) ha registrato il Centro da quando sei alla sua guida?
Il principale indicatore, quello che io personalmente metto al primo posto, è l’aver tolto dalla mente della collettività locale che questo è il vecchio ospizio, il vecchio ricovero, riconoscendolo come un luogo dove si sta bene e dove gli anziani ricevono le attenzioni e le cure necessaria.
Questa è stata le più difficile scommessa che passa da tante scelte fatte e tante discussioni sia interne al CdA che con i dipendenti. Solo per citarne alcune …..perché comprare i vasi in terracotta se quelli di plastica costano di meno, perché mettere i fiori e curare il giardino, perché avere un cane per la Pet-Terapy… Queste solo alcune difficoltà esterne ma ce ne sono state anche interne all’organizzazione, come per esempio interrogarsi sul perché dotarci della collaborazione di una psicologa se non prevista.
Ovvio, bisogna dire che i risultati ci hanno sempre dato ragione rafforzando le nostre idee e le nostre convinzioni. Adesso abbiamo una lunghissima lista di attesa di anziani che aspettano per poter venire alla Martelli: oltre 150 domande in lista di attesa su 100 posti disponibili con tempi medi di attesa che vanno da svariati mesi a qualche anno.
Un altro elemento che sicuramente caratterizza la Martelli è l’aspetto tecnologico!! La Martelli è oggi una struttura all’avanguardia sotto l’aspetto tecnologico e centro sperimentazione di molte nuove tecnologie. Ovvio che non è stato semplice: ricordo ancora oggi la prima volta che abbiamo introdotto la nuova cartella sociosanitaria informatizzata ed io con l’aiuto di alcuni giovani colleghi facevamo la formazione alle operatici che avrebbero dovuto utilizzare questa nuova strumentazione.
La scelta è stata sicuramente vincente. Non solo per aver appreso come gestire i dati dei nostri anziani in maniera informatizzata ma perché grazie a quel processo evolutivo – ricordiamo che Google si era appena affacciato e non era popolare come oggi e Facebook non era ancora stato creato – noi alla Martelli siamo stati in grado di creare una cultura “tecnologica” a tutti i livelli. Solo per dare una dimensione della portata di questo processo evolutivo, vi basti pensare che ad ogni nostro anziano, al momento dell’ingresso, viene assegnata una casella di posta elettronica. Vi chiederete che cosa ne fa un novantenne , in taluni casi analfabeta, di una casella e-mail? Ebbene questa scelta ci ha consentito di abbattere un gap insormontabile tra generazioni diverse. Nonni e nipoti che magicamente tornano a dialogare e comunicare attraverso mail. Il nostro servizio socio-educativo svolge la funzione di filtro, aiutando i nostri anziani a scrivere e stimolando i nipoti a rispondere.
Oltre a questo abbiamo installato da tempo non semplici tv ma smart tv dove puoi mostrare, per esempio, il menu del giorno con le foto dei piatti che si andranno a degustare, ma anche le informazione degli eventi della settimana. Siamo stati la prima struttura per anziani che ha utilizzato la LIM (Lavagna interattiva Multimediale), strumento che viene utilizzato per la didattiche nelle nostre scuole (non tutte sfortunatamente) ma di cui noi abbiamo reinventato l’utilizzo con un progetto che si intitola “girovagando”, il quale ci consente di portare in giro per il mondo (in modo virtuale) i nostri anziani, ma anche ci consente di fare collegamenti via skype con le scuole ed in alcuni casi con i figlie e nipoti dei nostri residenti che si trovano all’estero. E’ stato bello vedere la reazione della signora Giuseppina quando ha visto il nipote, in collegamento dagli Stati Uniti, “…..oh, nini icche tu ci fai alla televisione”. Vi lascio immaginare la gioia dell’anziana e del nipote e le faccia divertita degli operatori che hanno assistito alla videochiamata. Gli ultimi progetti tecnologici che stiamo sviluppando sono: “Time to Care” e “Comarc”.
Il primo vede l’utilizzo del “FitBit”, un braccialetto che consente di monitorare molti dati dei nostri anziani. Nasce e viene utilizzato prevalentemente per gli sportivi e per coloro che vogliono tenere sotto controllo le attività fisiche. Il nostro utilizzo si concentra sul “sonno”: quanto dormono e come dormono i nostri anziani, quanto si muovono contando i passi e programmando le attività di deambulazione e l’aspetto legato al cardiofrequenzimetro che rileva i battiti e consente di poter analizzare condizioni e stati di agitazione indicandone il momento dell’insorgenza.
Questo progetto è stato realizzato con il contributo della FitBit Italia che ci ha messo a disposizione alcuni braccialetti. Al termine della sperimentazione vedremo se dotare i nostri anziani di questo strumento. L’altro progetto “Comarc” invece vede, in accordo con una società polacca che produce apparecchiature elettromedicali, l’utilizzo per i nostri anziani, ma anche per coloro che ancora non sono assistiti e risiedono nelle loro abitazioni, di apparecchi che misurano la pressione, la temperatura corporea e anche la glicemia. Tutto questo per andare in aiuto alle persone anziane che vivono da sole. Anche in questo caso al termine della fase di sperimentazione valuteremo l’implementazione di un nuovo servizio a domicilio da parte dei nostri operatori. Sul versante dei costi basti pensare che a fronte di una delibera regionale che stabilisce la quota media per le residenze sanitarie assistite, la nostra sta al di sotto ed è sempre stata al di sotto delle medie regionali, a dimostrazione che è possibile fare qualità contenendo i costi.
Oltre a questo aspetto legato alla retta a carico dei nostri assistiti, bisogna dire che la Martelli si è contraddistinta per una corresponsione salariale superiore ai livelli contrattuali per gli operatori socio-sanitari in modo da contenere il turnover. Ovvio che la condizione migliore non è tanto ascoltare il mio racconto ma venire di persona a vedere ed ascoltare direttamene dalla bocca dei nostri residenti, parenti o dipendenti quello che dicono della Martelli. Infine mi preme evidenziare un aspetto legato al mondo della scuola e dei giovani, vera e propria risorsa per il nostro mondo. Quando sono arrivato alla Martelli 20 anni fa ricordo che vi erano due scolaresche che venivano a cantare le canzoni ai nonni per Natale. Unico momento di partecipazione dei bambini durante tutto l’anno, unito ad un gruppo scout che anch’essi portava dei piccoli doni per natale ai nostri anziani. In uno di questi momenti ricordo chiaramente una bimba piccola che piangeva perché non voleva stare con i nonni. Ebbene adesso grazie al lavoro svolto dal nostro team abbiamo circa 600 ragazzi di tutte le scuole di ogni ordine e grado che prendono parte alla vita della nostra residenza partecipando a progetti integrati che vedono i nonni andare nelle scuole ed i ragazzi venire alla Martelli. Per citarne solo alcuni dei progetti realizzati: “Giochi dei nostri tempi, giochi di altri tempi”, “Arte e Pittura”, “Girovagando”, “C’era una volta, i nonni si raccontano”, “Gocce di Memoria”, “Un fiume di ricordi”, “Happy Days”, “I nonni sui banchi di scuola”, un doposcuola con i nonni, “Larte senza età”, “Il mercante in Fiera”, “Il baule dei ricordi”, “Copie d’autore”, “Concorso fotografico” con le scuole Medie, ecc. ecc.
La leadership positiva richiede alle persone che guidano e gestiscono le organizzazioni di integrare il paradigma razionale-economico (per garantire la crescita e l’efficacia dell’organizzazione) con il paradigma emotivo-umano (per consentire alle persone di fiorire). Tu come ci sei arrivato?
E’ una lunga storia che parte da molto lontano. Premetto che sono un autodidatta e che quando sono arrivato in questa posizione non avevo specifiche conoscenze in materia di leadership o di servizi alla persona. Ho intrapreso un percorso formativo specifico che mi ha portato a frequentare corsi per il nostro settore e non solo, presso le più importanti università passando per la Bocconi di Milano, l’Alma Mater di Bologna, il Sant’Anna di Pisa, la LIUC di Castellanza, ma anche attraverso Performance Strategies dove nel “Forum delle Eccellenze” vengono trattati temi come la leadership. Ma tutto questo mi non è stato sufficiente in effetti molto: il mio stile di leadership, parte proprio dal mio primo lavoro. Quei primi anni in fabbrica da metalmeccanico hanno forgiato il mio temperamento e la mia forza di volontà, mi hanno fatto capire l’importanza di dare ascolto agli ultimi, di cogliere ogni più piccola sfumatura nelle relazioni e nei rapporti perché molto spesso è ascoltando le persone più umili che riusciamo a comprendere il senso del nostro impegno, del nostro lavoro. E’ proprio così che ho improntato il mio lavoro, cercando sempre di dare voce a coloro che spesso nelle organizzazioni non ne hanno. Alcuni esempi. Annualmente la Martelli organizza un momento dove si discute, si progetta, si pianificano le strategie di miglioramento da mettere in atto nell’anno a venire. Questo è un momento topico per l’organizzazione dove generalmente vengono coinvolti solo i vertici aziendali. Ebbene no, alla Martelli partecipano tutte le figure professionali con parità di espressione, voto e giudizio. Dalla addetta alla lavanderia alla signora delle pulizie, dalla cuoca all’infermiere, dall’animatore al coordinatore per poi passare alle figure di referenza e coordinamento. Tutto questo avviene in un setting diverso dal solito: saliamo su ad un rifugio in montagna dove ognuno porta il suo zaino con le suo cose e dove immersi nel silenzio della natura ci dedichiamo alla costruzione del nostro piano di miglioramento. Tutti molto entusiasti di partecipare e di contribuire alla crescita della Martelli. Da dire che anche in questo caso, pur trovandoci per pianificare e programmare le azioni di miglioramento per la nostra azienda, ognuno di noi si paga il soggiorno, a dimostrazione che se uno vuole fare qualcosa riesce a fare qualcosa laddove gli altri trovano una scusa per non farlo. Da quest’anno sarà invitato anche un rappresentante dei residenti ed uno dei familiari, in modo da avere un quadro più chiaro sulla rotta da seguire.
Come ti prendi cura di te e del tuo benessere? Hai delle pratiche, routine che ti aiutano a rilassarti e ricaricarti, rimanere focalizzato, in salute, positivo?
Assolutamente si! E’ impossibile non prendersi cura di noi stessi, come si può pensare di dedicarsi agli altri se prima non si acquisisce un equilibrio interiore e psicofisico che ti consente di far fronte ai tanti problemi che quotidianamente ci troviamo a gestire? Il benessere psicofisico è fondamentale e può essere raggiunto in tanti modi. Quello che io ho scelto è il contatto con la natura.
Cerco di dedicare due giorni alla settimana a stretto contatto con la natura attraverso lunghe camminate sulle nostre montagne, sempre o quasi da solo, dove il silenzio, il fruscio del vento, gli spazi aperti, le vette maestose comunicano con noi e ti fanno riflettere su ciò che siamo all’interno del nostro universo. Spesso piccoli dettagli come il colore di una foglia, un fiore, un vecchio tronco, oppure una farfalla riescono a darti emozioni uniche che ti riportano ad una dimensione più umana. Non è necessario essere scalatori oppure alpinisti, ma credo che il semplice contatto con la natura generi energia positiva che poi può essere riversata nelle nostre organizzazioni.
Potrei rinunciare a molte cose ma non a questa!! Non rinuncerei a questo contatto che per me è vitale. Infatti in molte occasioni preferisco scegliere luoghi diversi dalla nostra sala riunioni della Martelli, per i nostri incontri di staff o cabine di regia, previlegiando il contatto con la natura, ma anche con l’arte le quali riescono a tirar fuori da ognuno di noi una energia vitale. Solo per darvi alcuni esempi, ci siamo incontrati nel rifugio di montagna, ma anche in barca al mare, davanti al trittico del Masaccio con un museo tutto per noi oppure davanti al Pontormo e Rosso Fiorentino a Palazzo Strozzi a Firenze, ma anche al Monastero di Camaldoli oppure presso l’Abbazia di Vallombrosa, o ancora tutti assieme con le mani in pasta da uno chef che nella pausa pranzo ci ha insegnato come fare la pasta.
Quali sono, secondo te, le sfide, gli ostacoli, le difficoltà, le fatiche o le resistenze da affrontare nel percorso di costruzione di un’organizzazione positiva nel settore della Salute?
Sono veramente molteplici. Per primo direi di “metterci la faccia” e di “assumersi dei rischi”, perché è troppo facile stare dietro e lavorare in perenne difesa, come quei medici che si trincerano dietro la firma sul modulo del consenso informato senza aver dato la benché minima informazione. In questo caso stiamo parlando di Medicina Difensiva, ma oggi molto spesso nelle nostre strutture parliamo di Assistenza Difensiva. Questo, assieme all’eccessiva burocratizzazione, sono gli errori da cui dovremmo sfuggire. Solo per fare alcuni esempi: possiamo assistere senza contenere una persona oppure contenendola, penso a contenzioni fisiche o chimiche come spondine ai letti oppure cinture alle sedie o anche terapie spesso inappropriate. Oppure con attività che stimolano gli interessi degli anziani, con percorsi riabilitativi: con una attenta e discreta sorveglianza si riesce ad abbatter l’utilizzo in questo caso di contenzioni, ma certo è più semplice e più veloce mettere una cintura. Siamo in prima linea e solo se ti sporchi le mani riesci a comprendere le difficolta che ogni singolo operatore del settore è chiamato ogni giorno a sopportare, allora devi metterli nella condizione di meglio operare anche attraverso il coinvolgimento e la formazione, strumenti questi indispensabili. Partendo da questo riusciamo a garantire quella qualità della vita che i nostri residenti si meritano. Ovvio che le resistenze sono molte di più delle forze in campo ma una cosa è certa, non dobbiamo arrenderci e non dobbiamo credere di essere onnipotenti. Il nostro settore è un settore molto particolare, ha subito e sta subendo una profonda trasformazione, una crescita repentina che spesso ha reso le nostre organizzazioni vulnerabili, per questo è necessario cercare leve che consentano ad ogni singolo operatore di confrontarsi con i suoi pari per apprendere, ma anche per cercare conforto sull’operato. Troppo spesso le strutture sono come dei castelli inespugnabili con il ponte levatoi alzato dove nulla esce e nulla entra a protezione di chissà quale segreto. L’apertura ed il dialogo rafforzano le organizzazioni.
La Martelli è una struttura aperta, ci rendiamo sempre disponibili ad accogliere colleghi per confrontarci e in questi ultimi anni prossiamo dire che il flusso di visitatori provenienti da altre strutture è aumentato, questo a testimonianza che pian piano il sistema si sta muovendo. E’ per noi fonte di orgoglio pensare che siamo stati i primi a partire in giro per il mondo per carpire nuove tecniche, buone prassi organizzative, semplici accorgimenti che hanno migliorato il nostro lavoro quotidiano e soprattutto la qualità della vita all’interno delle nostre residenze.
Questo passa anche attraverso, ad esempio, da momenti ludici come le cene portarelle, dove ognuno di noi porta qualcosa da mangiare tutti assieme, o scampagnate ed ancora gite fuori porta.
Cosa diresti ai direttori dei centri, dirigenti di cooperative sociali o dirigenti ospedalieri per convincerli che vale la pena investire sul benessere delle persone e che ha senso iniziare a costruire organizzazioni positive?
Direi sicuramente che “ne vale la pena”, i risultati non si faranno attendere e ne risentirà positivamente tutta l’organizzazione. Quello che vorrei dire ai molti bravi colleghi che ci sono nelle strutture socio-sanitrie è di accorciare il gap che c’è tra loro e l’operatore socio-sanitario, sì perché troppo spesso si percepisce uno scollamento nelle organizzazioni che inevitabilmente produce malumori e disservizi. Una organizzazione positiva passa attraverso la comprensione delle fatiche degli ultimi, supportare e sostenere sono parole d’ordine di ogni organizzazione ma ancor più nelle organizzazioni come le nostre, fatte prevalentemente da donne, mamme, figlie che accudiscono i nostri anziani con amore e dedizione, ma che spesso si trovano da sole ad affrontare le difficoltà organizzative e strutturali. Per questo è importante alzare le antenne ed ascoltare le loro richieste, le loro istanze che spesso sono semplici ma importanti.
È in queste circostanze che il manager, il leader deve essere presente, magari semplicemente acquistando un ausilio o ritinteggiando una parete. Di solito tutto questo è demandato ai quadri intermedi delle nostre organizzazioni, figure fondamentali, ma posso assicurare che il gesto compiuto dal Direttore, dal responsabile nei confronti di un semplice addetto ha una cassa di risonanza incredibile. Aggiungo, ma anche questo è noto, che noi siamo “osservati speciali”: non ci rendiamo conto ma tutti conoscono le nostre abitudini, come ci vestiamo, quando arriviamo al lavoro, quando siamo di buon umore e quando siamo di cattivo umore. Bene il suggerimento che mi preme dare a chi sta al vertice di ogni organizzazione è di conoscere altrettanto bene coloro che lavorano all’interno delle nostre strutture, sapere e capire se hanno problemi, conoscere le loro abitudini ed i loro comportamenti. Questo elemento vi farà acquisire autorevolezza ed accorcerà le distanze tra i vertici e la base delle vostre organizzazioni
Qual è la tua prossima sfida, sogno?
Non bisogna mai smettere di sognare, lo dico spesso ai miei figli, anzi bisogna avere sempre un sogno nel cassetto, magari non si realizzerà mai, ma è bello accarezzare l’idea che un giorno quello che tu immaginavi impossibile si è materializzato. Io mi sento fortunato perché sono un sognatore e molti dei miei sogni sono divenuti realtà: penso al desiderio di avere una casetta in campagna penso al desiderio di conoscere il mondo del vino, penso anche al sogno di realizzare una struttura a dimensione umana come è la Martelli. La prossima sfida è veramente una sfida “impossibile”!! Si tratta del mio sogno nel cassetto che avevo sin da piccolo ossia “fare il Sindaco”. E’ una storia lunga che si è rafforzata nel tempo fino a diventare una sfida con me stesso.
Tendenzialmente le pubbliche amministrazioni, spesso sin troppo bistrattate dall’opinione pubblica e dai cittadini, sono luoghi senza identità, senza anima. Risentono delle influenze e condizionamenti politici e non riescono ad esprimere le reali potenzialità delle risorse umane che vi lavorano. E questa è la mia sfida, dimostrare che una organizzazione anche sterilizzata dalla politica può ritornare ad essere una organizzazione positiva. Per fare questo ovviamente devi essere il primo cittadino, per fare questo devi trovare il consenso elettorale, ma soprattutto devi trovare le leve giuste per restituire ad ogni membro dell’organizzazione la voglia di “fare”, di mettersi in gioco e di partecipare alla crescita ed al benessere di un’intera comunità.
La cosa è al quanto difficile perché non ho nessuna appartenenza politica, anche se nella precedente legislatura il Sindaco Nocentini mi ha chiamato a ricoprire la carica di Assessore Tecnico esterno e questa esperienza ha rafforzato in me il desiderio di mettermi in gioco per migliorare la qualità della vita dei nostri cittadini. Solo il tempo ci dirà quanto matta possa essere questa sfida e soprattutto se il sogno nel cassetto si realizzerà.
Vuoi aggiungere altro in relazione al tema e alla tua esperienza?
Quello che mi sento di aggiungere è solo una nota personale, con la speranza che possa servire ai più giovani.
Quando ho iniziato a lavorare ero un giovane svogliato che aveva interrotto gli studi perché desideroso di affrontare la vita, ma poi strada facendo mi sono accorto di quanto sacrificio e quanta fatica bisognava fare per arginare tutte le lacune e conoscenze che la formazione scolastica ti dà.
Il percorso è molto più lungo ed insidioso, forse sono stato fortunato, forse sono stato tenace e determinato, magari anche sfrontato, ma come dice quella canzone di Gianni Morandi propria della mia generazione “Uno su mille ce la fa”. E allora perché non pensare che sei proprio tu quello!!!
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