La Scienza della Felicità è un argomento meravigliosamente delicato. Stereotipi, percepiti, polarizzazioni ne offuscano l’osservazione pacata, pratica e piena. Il nostro desiderio è di fare chiarezza, accertando attraverso studi e ricerche, che la felicità è una competenza e come tale può essere allenata, come individui e come sistema.

Da diversi anni ci impegniamo a:

  • distillare e diffondere le giuste informazioni dissipando falsi miti
  • sviluppare e condividere pratiche che possano tradursi in protocolli per aziende, scuole, sociale
  • fare ricerca, misurare, raccogliere dati sulle dimensioni che concorrono a spiegare il complesso sistema umano
  • aggregare e formare professionisti solidi e competenti ai linguaggi della Scienza della Felicità

I pilastri della Scienza della Felicità

+ Chimica positiva


Chimica
negativa

Ogni volta che i nostri bisogni di sicurezza, stabilità, apprezzamento, riconoscimento, appartenenza e connessione sociale sono soddisfatti,
il nostro corpo produce una chimica positiva. Ossitocina, dopamina, serotonina, endorfina vanno generati in abbondanza.
Al contrario, invece, ogni volta che ci sentiamo insicuri, non riconosciuti, traditi, non compresi, soli, produciamo una chimica negativa… ormoni come cortisolo e adrenalina, che sono utili ma a piccole dosi e se veramente necessario!

La chimica positiva apre i centri dell’apprendimento, della creatività, della memoria e dell’ascolto; la chimica negativa chiude la visione, rende difficile risolvere i problemi e soprattutto fa male alla nostra salute!

+ Noi


Io

La scienza ha dimostrato che siamo cablati per la socialità e che non è sopravvissuta la specie più forte ma quella che ha saputo cooperare meglio. Si chiama capitale sociale ed è la nostra capacità di costruire relazioni solide e di fiducia nel tempo. Dal capitale sociale dipendono: l’espressione del potenziale, il benessere emotivo, la salute del sistema immunitario e neuroendocrino, la resi- lienza, la capacità di affrontare stress e depressione. Coltiviamo il nostro capitale sociale quando: cooperiamo, ci sentiamo coinvolti e coinvolgiamo, diamo supporto e ci sentiamo supportati, ascoltiamo, comunichiamo in modo non violento, mettiamo a disposizione informazioni, siamo gentili, dedichiamo tempo.

+ Essere


Fare avere

In Italia, prima di frequentare l’università, dedichiamo circa 20 mila ore allo studio e di queste nemmeno una è impegnata a conoscere, capire e gestire il nostro essere. Se non impariamo a intercettare i nostri bisogni e valori, cogliere cosa ci appassiona e può essere coltivato per far fiorire i nostri talenti, se non impariamo a lavorare con la nostra intelligenza emotiva e a rispondere alla domanda: qual è il mio  proposito di vita? allora sarà difficile fare scelte coerenti ed efficaci. Il risultato è che ci ammaliamo di più e siamo più infelici. Abbiamo investito come individui e società le nostre energie ad attribuire un significato sproporzionato all’avere e al fare per scoprire che la cura dell’essere è la strada per la felicità.

+ Disciplina


Caos

La felicità è un “muscolo volontario” e si allena attraverso pratiche che devono avere qualità specifiche, cioè essere:

  • intenzionali: dobbiamo sceglierle;
  • ancorate a uno scopo forte: devono avere senso per noi;
  • personali: quello che funziona per me non funziona per tutti;
  • costanti e durature nel tempo: ci vuole disciplina, una routine del benessere da coltivare con costanza ogni giorno;
  • coinvolgenti: dobbiamo ascoltarci, se sentiamo di perdere interesse dobbiamo aggiornarle.

Ma a quali pratiche dobbiamo allenarci? Tutte quelle che trasformano in azioni e comportamenti i tre principi precedenti.

+ Chimica positiva


Chimica
negativa

+ Noi


Io

+ Essere


Fare avere

+ Disciplina


Caos

Ogni volta che i nostri bisogni di sicurezza, stabilità, apprezzamento, riconoscimento, appartenenza e connessione sociale sono soddisfatti, il nostro corpo produce una chimica positiva. Ossitocina, dopamina, serotonina, endorfina vanno generati in abbondanza.
Al contrario, invece, ogni volta che ci sentiamo insicuri, non riconosciuti, traditi, non compresi, soli, produciamo una chimica negativa… ormoni come cortisolo e adrenalina, che sono utili ma a piccole dosi e se veramente necessario!

 

La chimica positiva apre i centri dell’apprendimento, della creatività, della memoria e dell’ascolto; la chimica negativa chiude la visione, rende difficile risolvere i problemi e soprattutto fa male alla nostra salute!

La scienza ha dimostrato che siamo cablati per la socialità e che non è sopravvissuta la specie più forte ma quella che ha saputo cooperare meglio. Si chiama capitale sociale ed è la nostra capacità di costruire relazioni solide e di fiducia nel tempo. Dal capitale sociale dipendono: l’espressione del potenziale, il benessere emotivo, la salute del sistema immunitario e neuroendocrino, la resi- lienza, la capacità di affrontare stress e depressione. Coltiviamo il nostro capitale sociale quando: cooperiamo, ci sentiamo coinvolti e coinvolgiamo, diamo supporto e ci sentiamo supportati, ascoltiamo, comunichiamo in modo non violento, mettiamo a disposizione informazioni, siamo gentili, dedichiamo tempo.
In Italia, prima di frequentare l’università, dedichiamo circa 20 mila ore allo studio e di queste nemmeno una è impegnata a conoscere, capire e gestire il nostro essere. Se non impariamo a intercettare i nostri bisogni e valori, cogliere cosa ci appassiona e può essere coltivato per far fiorire i nostri talenti, se non impariamo a lavorare con la nostra intelligenza emotiva e a rispondere alla domanda: qual è il mio  proposito di vita? allora sarà difficile fare scelte coerenti ed efficaci. Il risultato è che ci ammaliamo di più e siamo più infelici. Abbiamo investito come individui e società le nostre energie ad attribuire un significato sproporzionato all’avere e al fare per scoprire che la cura dell’essere è la strada per la felicità.

La felicità è un “muscolo volontario” e si allena attraverso pratiche che devono avere qualità specifiche, cioè essere:

  • intenzionali: dobbiamo sceglierle;
  • ancorate a uno scopo forte: devono avere senso per noi;
  • personali: quello che funziona per me non funziona per tutti;
  • costanti e durature nel tempo: ci vuole disciplina, una routine del benessere da coltivare con costanza ogni giorno;
  • coinvolgenti: dobbiamo ascoltarci, se sentiamo di perdere interesse dobbiamo aggiornarle.

Ma a quali pratiche dobbiamo allenarci? Tutte quelle che trasformano in azioni e comportamenti i tre principi precedenti.

Domande frequenti

Che cos’è La Scienza della felicità?

La scienza della felicità è il termine che aggrega tutte le discipline scientifiche che concorrono a spiegare perché la felicità non è solo un’emozione ma una competenza e, come tale, può essere coltivata.
La scienza della felicità è una disciplina giovane, nata dalla convergenza e dall’integrazione dei contributi provenienti da scienze consolidate (psicologia positiva, biologia, neuroscienza, fisica quantistica ed economia), ricerche di frontiera (come quelle nei campi della medicina integrata o condotte da team multidisciplinari di neuroscienziati e ricercatori in campo spirituale), filosofia e discipline orientali.

La felicità è una dimensione privata e soggettiva, come si fa a definirla una volta per tutte?

Esistono due dimensioni della felicità e noi dobbiamo, come individui e sistemi, imparare a coltivarle entrambe e possiamo assolutamente farlo. Le due dimensioni sono:

dimensione edonica: è legata alla soddisfazione e al piacere che proviamo. È una dimensione che misuriamo attraverso l’emozione della felicità, anche se sarebbe più corretto dire che la misuriamo attraverso una gamma di emozioni che sono quelle che Barbara Fredrickson definisce positive (o piacevoli, se preferite);

dimensione eudaimonica: legata non a uno stato emotivo ma al modo in cui ciascuno di noi può scegliere di vivere la propria vita con l’obiettivo di costruire il proprio benessere e la propria felicità. È uno stile di vita, sono le scelte e quindi i comportamenti intenzionali che mettiamo in atto per realizzare uno scopo superiore.

Alla felicità come emozione, quindi alla “dimensione edonica”, sono connesse la soddisfazione, il piacere, l’ormone della dopamina. Mentre, alla felicità come proposito, quindi alla “dimensione eudaimonica”, sono connesse le azioni intenzionali, il senso di scopo e i comportamenti che scelgo di agire come individuo e come comunità.

Per cogliere entrambe le dimensioni dobbiamo osservare cose diverse, quindi porci domande diverse. Chiedere “Sei felice? Che cosa ti rende soddisfatto?” è diverso che chiedere “Che cosa fai per creare ogni giorno le condizioni per una vita felice e di benessere per te e per le persone intorno a te?”.

Potresti chiederti perché ci limitiamo a vederla solo come un’emozione? E noi risponderemmo: per molte ragioni convergenti. Nelle indagini, ma anche nelle argomentazioni, è prevalsa storicamente quasi sempre la prima dimensione; è un argomento complesso da trattare; il presidio della seconda dimensione richiede una “tecnologia interiore” che va allenata con intenzione e come umanità abbiamo perso nel tempo (in Occidente almeno) questo focus: coltivare l’essere è stato meno facile che coltivare il fare e l’avere.

Che significa che la felicità è una competenza?

Oggi, grazie alle neuroscienze e ai contributi della psicologia positiva, possiamo affermare in modo netto che la felicità è un fatto oggettivo e che ciascuno di noi ne è responsabile. Lo studio più importante che è stato condotto in questa direzione è a firma di Sonja Lyubomirsky, Professore presso la California University e Ph.D. della Stanford University, una meta- analisi in cui sono stati confrontati ben 225 studi sulla felicità. Che cosa è emerso da questo studio?

La felicità non dipende solo dai geni. Se prendiamo un gruppo di persone (quindi non ci riferiamo a un singolo individuo), il fatto che tra loro ce ne siano alcune che si dichiarino felici e altre meno dipende da un fattore genetico che pesa per il 50%.

Da qui ci si è chiesti: allora l’altro 50% da che cosa dipende?
2. Circa il 10% dipende dalle circostanze di vita. Ovvero dai fatti che accadono nel corso della vita: l’area geografica o la famiglia in cui si nasce, il livello economico o la scuola, l’ambiente sociale a cui si ha ac- cesso, le caratteristiche fisiche (alto, basso, il livello di salute), e così via. Perché scriviamo “circa”? Perché il dato non può e non deve essere considerato fisso. In primis è complesso portare avanti questo tipo di analisi, in secondo luogo, per esempio, questo 10% si riferisce a un campione di persone che vivono in condizioni “medie di vita”, ma, se si vive in condizioni più polarizzate (per esempio sotto la soglia di povertà o in condizioni di salute estremamente precarie), questo dato aumenta, arriva al 18% o può variare ancora di più in alcuni casi.

3. Circa il 40% dipende dalle nostre scelte intenzionali. Ovvero dai comportamenti consapevoli con cui scegliamo di agire e vivere la no- stra vita. Dipende da quanto ci dedichiamo a costruire la nostra “tec- nologia interiore” praticando quelle azioni/comportamenti che si è visto essere più efficaci nell’allenare la felicità come competenza.

La sintesi di questa prima fase di studio ha portato quindi a dire che la felicità è una competenza che possiamo allenare, perché è determinata solo per il 50% dal nostro patrimonio genetico mentre per il resto dipende da altri due fattori (le circostanze di vita e le nostre scelte intenzionali).

Come posso allenare la felicità?

Le ricerche hanno dimostrato che possiamo costruire la nostra felicità dedicando tempo e attenzioni, allenandoci a specifici comportamenti, grazie alla neuroplasticità del nostro cervello. Ma a quali pratiche dobbiamo allenarci? Tutte quelle che trasformano in azioni e comportamenti i principi della chimica positiva del capitale sociale e che aumentano la nostra consapevolezza e lavorano sull’essere. Come coerenza cardiaca, respirazione consapevole, meditazione, mindfulness, gioco, divertimento, yoga, esercizio fisico, Yoga della Risata, stili di vita sani ma anche la gratitudine, la gentilezza, il dono, il volontariato, il riposo, esperienze nuove, contatto con la natura.

Ad esempio, sapevi che occorrono 21 giorni di allenamento per iniziare a formare nuove abitudini?

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