21 febbraio 2022. Ultime dal futuro emergente

Daniela di Ciaccio e Veruscka Gennari

“Il mondo non è mai stato interessato alla felicità come ora” 

Jeffrey Sachs, presentazione del World Happiness Report, 20 marzo 2021

Consegnavamo alle stampe questo libro il 22 marzo 2020, mentre l’Italia e tutto il mondo piombavano nella morsa della pandemia da Covid-19 e nel vortice di paura, incertezza, e incredulità che l’esperienza dei lockdown e la diffusione dei contagi stavano generando.

A distanza di ormai due anni possiamo confermare senza esitazione ciò che già avevamo anticipato nella prima edizione: il modello culturale dell’Organizzazione Positiva non solo continua a mantenere la sua efficacia nel tempo ma risulta essere il miglior antidoto per affrontare le sfide e le crisi che fanno endemicamente parte della complessità dei nostri tempi.

Le aziende che in tempi non sospetti avevano, infatti, già iniziato ad investire sulla creazione di luoghi di lavoro basati sulla fiducia, sull’autonomia e la responsabilizzazione dei collaboratori, sulla de-gerarchizzazione delle strutture organizzative, sullo smart working vero e sul senso d’appartenenza costruito intorno alla condivisione di un “purpose” di tipo ecosistemico, hanno attivato risposte alla crisi che hanno consentito loro di continuare ad operare senza troppi stravolgimenti e a volte addirittura crescere in numero di dipendenti, produttività e fatturato.

Sono aziende che avendo compreso prima di altre l’importanza strategica di coltivare la felicità di persone e organizzativa, hanno attivato da subito quei canali di ascolto e partecipazione collettiva ai processi decisionali che erano già pratiche consolidate e in virtù di queste, intercettare le soluzioni più efficaci per operare nella “nuova normalità”.

Per tutte le organizzazioni che nel libro riconduciamo al modello di tipo “convenzionale”, questi ultimi due anni di pandemia sono stati il crash test che ha fatto prender coscienza di quanto fossero ormai datati e non più funzionali modelli mentali e modalità operative basate sul comanda e controlla, rigidità di ruoli, orari e tempi, orientamento al profitto a qualunque costo… 

Oggi tutti i nodi sono venuti al pettine.

Se prima del Covid-19 ammonivamo sulla necessità di spostare il focus dal profitto al purpose e sull’urgenza e l’importanza di fare della felicità una strategia organizzativa coerente a fronte dei pesanti danni arrecati agli ecosistemi, della crescita delle disuguaglianze economiche e sociali, dei drammatici dati sulla percentuale di lavoratori demotivati e dell’aumento di uso di psicofarmaci e malattie dovute a stress da lavoro… bastano due fenomeni sotto gli occhi di tutti e che hanno preso piede in questi ultimi mesi a dare evidenza che l’acqua che bolliva ha fatto saltare il coperchio: Great Resignation, la grande fuga dal posto di lavoro, e Yolo Economy (dall’acronimo You only live once), ovvero l’abbandono del “posto fisso” da parte dei giovani.

Un po’ di dati per aiutarci a comprendere la situazione: il 46% dei lavoratori italiani vuole cambiare lavoro; l’82,3% ritiene di meritare di più, il 69,6% si dichiara molto inquieto pensando al futuro e il dato sale al 70,8% tra i giovani: una cocente disillusione, secondo l’ultimo rapporto Censis, rispetto agli investimenti economici realizzati e alle aspettative di carriera.

Dalle testimonianze dei diretti interessati sappiamo che tutto questo malessere è uno dei motivi alla base del fenomeno delle dimissioni volontarie di massa senza avere un piano B, che sta interessando i lavoratori di tutto il mondo, a partire dal mese di aprile del 2021: più di 8 milioni di persone negli Stati Uniti, quasi 500 mila italiani solo nel periodo aprile-giugno. 

Il fenomeno riguarda un po’ tutti i ruoli e travalica i differenti settori: dalla ristorazione alla consulenza, dalle aziende familiari alle grandi multinazionali. 

C’è chi ha smesso di accontentarsi di condizioni lavorative scarsamente valorizzanti ed eque come paghe troppe basse, poca considerazione aziendale e relazioni poco umane e chi ha iniziato a riflettere sul significato profondo del lavoro e ha deciso di dire basta a giornate intere in ufficio, orari impossibili, doppi turni e straordinari non pagati.

Molto spesso il problema è evidenziato è stato il burnout: l’esaurimento mentale, fisico ed emotivo, soprattutto nei settori a stretto contatto con il pubblico. Infine c’è chi dopo il Covid 19 ha realizzato l’importanza del tempo e i benefici della flessibilità lavorativa, dello smartworking e di una gestione indipendente dei propri orari di lavoro.

E’ evidente che non saper rispondere o ancor meglio anticipare in modo intelligente questi segnali ci espone  a livello sociale e sistemico a fragilità, tensioni e scenari preoccupanti. Qui è in gioco la tenuta psicologica delle persone.

In un libro del 2018 dedicato alla Scienza delle Organizzazioni Positive avevamo già segnalato alcuni dati preoccupanti sugli scarsi livelli di coinvolgimento e l’elevato livello di stress dei lavoratori: secondo i dati Gallup infatti, l’85% dei lavoratori del mondo sono demotivati, il 65% afferma di non sentirsi apprezzato, in Europa 40 milioni di lavoratori soffrono di stress lavoro correlato e questo malessere causa tra il 60 e l’80% degli incidenti e l’80% di tutte le visite mediche.

Complice lo stato di emergenza, lontani da capi e da ambienti di lavoro tossici e sperimentando forme di organizzazione del lavoro e dei tempi diverse, molti lavoratori potrebbero aver semplicemente raggiunto il punto di rottura, dopo mesi e mesi di elevati carichi di lavoro e di poca sicurezza sul futuro, arrivando a ripensare i propri obiettivi di lavoro e le priorità di vita. 

Se guardiamo al mondo dei più giovani, la Yolo Economy sta portando i Millennials e parte della Generazione Z a rinunciare all’impiego in grandi aziende e a considerare più favorevolmente la possibilità di avviare nuove attività indipendenti, con la motivazione spesso riconducibile alla scarsa capacità delle organizzazioni di soddisfare i bisogni profondi di autorealizzazione, felicità e impatto positivo, che spinge i più giovani alla ricerca di nuove esperienze a cui dare valore.

È interessante, a tal proposito, ciò che è emerso da un’analisi di McKinsey: c’è un gap tra le motivazioni reali che spingono le persone a lasciare le aziende e quelle che pensano i loro datori di lavoro. I primi tre fattori più citati dai dipendenti sono il non sentirsi apprezzati dalle propria organizzazione (54%) o dai propri manager (52%) e il non sentire un senso di appartenenza al lavoro (51%). 

I datori di lavoro, invece, ritengono che i dipendenti si licenzino soprattutto per la retribuzione, lo scarso equilibrio tra lavoro e vita privata e la non attenzione alla salute fisica ed emotiva, problemi indicati anche dai collaboratori ma con un peso diverso.  

Ciò che è sotto gli occhi di tutti sembra ormai una vera polveriera che rischia di far esplodere il turnover e di minare clima, efficacia e motivazione nelle organizzazioni.

Aziende e manager si scoprono apparentemente impotenti: è vero, infatti, che resteranno competitive solo quelle organizzazioni che dimostreranno di essere in grado di attrarre persone intercettandone i bisogni profondi di senso, autonomia e autorealizzazione, capaci di investire nella crescita delle competenze e di riprogettare le aziende in modo da stimolare innovazione e resilienza. 

È altrettanto vero, e le storie raccontate in questo libro fin qui lo dimostrano, che quelle sopra citate sono condizioni che le organizzazioni positive sono in grado di presidiare e che sostengono ancora di più la necessità di guardare alla felicità organizzativa come strategia importante, urgente, inevitabile.

Per concludere, ti ricordiamo un dato già condiviso a p. 37 di questo libro: “In un periodo di 15 anni il 46% delle aziende scomparse dalla lista Fortune 500 lo ha fatto a causa di fattori esogeni. Si aggiunge a questo il dato fornito da McKinsey & Co. per il quale un buon 36% degli AD dichiara di non conoscere i principali rischi che le proprie imprese dovranno affrontare in futuro”.

Oggi più che mai tutti noi abbiamo la consapevolezza “epidermica” di quanto sia vero tutto questo. Anche noi siamo imprenditrici, sappiamo che cosa voglia dire ridisegnare il proprio business plan, creare e innovare in un momento in cui mancano certezze, ma nulla in questo momento ci sta sostenendo di più di quello che abbiamo saputo costruire nel tempo in termini di capitale sociale, fiducia, ascolto e relazione con la nostra rete e i nostri clienti.

Una persona a noi molto cara, Saverio Cuoghi, ha detto:

“Questa situazione sta facendo emergere la vera natura di ciascuno di noi”.

È così! Qual è la natura del tuo essere manager, professionista, genitore, figlio, amico, fratello, sorella, collega, essere umano? Quanto sei vicino o distante da quanto hai letto in questo libro? Quanto hai voglia di guidare te stesso e gli altri verso un futuro in cui la cultura della positività ha il sapore e il colore di un mondo sostenibile, in cui la sofferenza si riduce per scelta intelligente di ciascuno di noi?

Le risposte a queste domande le hai già sentite vibrare dentro di te, falle andare oltre.. oltre le separazioni, oltre l’ego, oltre il “non dipende da me”, falle andare oltre il confine del poco e trasformalo in un abbondante, che possa lasciare a chi verrà la stessa speranza che abbiamo noi oggi di poterci guardare indietro tra qualche anno e dirci meravigliati per l’energia generativa che, come umanità, siamo riusciti a infondere nel nostro futuro.

Leggi tutto il libro 

Note bibliografiche

1. https://www.ilsole24ore.com/art/sul-portale-indeed-46percento-vuole-cambiare-posto-lavoro-AEXObB7

2. https://www.censis.it/rapporto-annuale/la-societ%C3%A0-irrazionale

3. Di Ciaccio, V. Gennari, La Scienza delle Organizzazioni Positive. Come far fiorire le persone e ottenere risultati che superano le aspettative, 2018, Franco Angeli