Intervista a Simone Rosati

Simone Rosati è Corporate Trainer, Dottore di Ricerca in Epistemologia della Complessità e teoria Integrale (Bergamo e San Francisco),Soft&Strategic Skills International Trainer, PhD, ExecMBA, Mental Athlete (SUPERBRAIN 2018; seconda posizione al Campionato Italiano di Memoria, 2014), Master Practitioner NLP, Trainer e Coach (Metodo Emotional Intelligence), Integral Coach (Integral Coaching certification), Trainer Mindfulness, SOFTSKILL MENTOR dell’incubatore FoodTech più importante in Europa (StartupBootcamp).

Si fa un gran parlare di VUCA: chi è questo personaggio? Qual è la chimica che produce nelle organizzazioni? 

Conobbi il termine VUCA nel 2009 a San Francisco e poi lo studiai approfonditamente nel 2012 in un corso triennale sulla Integral Leadership a Petaluma. Che dire? Con questo termine si apre davvero un mondo… Mi piace la vostra proposta di guardarlo come personaggio anche se io lo percepisco nella mia vita più come un ambiente: una vera e propria palestra. VUCA è un acronimo risalente alla seconda metà degli anni ’90 e tenta, secondo me molto bene, di creare nella nostra mente uno schema, un sistema di coordinate, che semplifichi la complessità che ci circonda. Due osservazioni immediate, dunque: 

  1. Ogni schema/sistema è croce-e-delizia per la mente umana come spiega Friedrich von Schlegel “Per la mente è tanto fatale avere uno sistema quanto non averne nessuno. Deve quindi decidersi a mettere insieme le due cose”. In altre parole: conoscere il termine “VUCA” è un vantaggio se lo utilizziamo scientificamente per adattare le nostre azioni alle sfide esterne ed è uno svantaggio se lo usiamo per aumentare il numero di teorie non verificate nella nostra mente arrivando alla buffa situazione descritta magnificamente da Renè Daumal con il famoso “so tutto ma non ci capisco niente”. 
  2. VUCA, inoltre, è uno schema particolare perché, mi ripeto, tenta di semplificare una realtà profondamente complessa che è la nostra epoca. In questo senso è un bellissimo esempio di “second simplicity”, “meta-semplicità” o “semplicità dall’altra parte della complessità”. Come diceva Oliver Wendell Holmes:“Per la semplicità da questo lato della complessità, non ti darei un fico. Ma per la semplicità dall’altra parte della complessità, ti darei tutto ciò che ho”. Cosa è la semplicità “dall’altra parte della complessità”? Un esempio pratico per farmi capire: quasi tutti oramai conoscono il potere esplicativo delle Mappe Mentali. Bene. Questo “potere”, tuttavia, è percepito al massimo da chi FA la mappa mentale di un libro e al minimo da chi la consulta SENZA aver letto quel libro. Fuor di metafora: il libro è il mondo del XXI secolo, la mappa è l’acronimo VUCA, il “mappatore” pare sia stato qualche Docente Illustre alla U.S. Army War College in Carlisle, (Pennsylvania), noi che leggiamo la parola VUCA siamo come chi la consulta senza aver affrontato il mondo nel modo in cui lo ha fatto quel Docente. “First simplicity” è dunque la “beata ignoranza” che proietta inconsciamente vecchie categorie mentali del XX secolo sul nostro mondo complesso. “Complexity” è farsi letteralmente sconvolgere dal nuovo mondo e sospendere momentaneamente il bisogno inevitabile e corretto di creare “mappe di navigazione”. “Second simplicity” è la creazione “sofferta” di nuove mappe. Ripeto: VUCA è, secondo me, una di queste nuove mappe che, troppo spesso, rischia di essere utilizzata in modo vecchio. Un esempio veloce anche qui. Bob Johansen, autore di un libro imprescindibile sul mondo VUCA, spiega come la nostra insistenza a trattare il mondo VUCA come-se-fosse un classico vecchio mondo fatto di certezze si manifesta addirittura nel linguaggio e fa l’esempio della recente tendenza ad usare spessissimo l’avverbio “assolutamente”. Domanda: una mente così bisognosa di certezze e che si esprime in tal modo, come userà l’acronimo, schema, sistema VUCA? Ma passiamo alla vostra domanda sulla chimica prodotta dal mondo VUCA. 

La bellezza di questo schema è che le sue 4 lettere spiegano contemporaneamente le sfide del nostro tempo (volatility, uncertainty, complexity, ambiguity) e le risposte adeguate (vision, understanding, clarity, agility) ed, in tal senso, VUCA è uno schema di respons-abilità o abilità di fornire la risposta adeguata invece di quella automatica.

Ma per passare da risposta automatica a risposta adeguata, c’è di mezzo proprio la chimica. Il mondo VUCA produce senza dubbio uno scossone cognitivo, emotivo ed operativo in tutti noi e, nelle aziende in cui ho esportato questo modello, insegno che si tratta a tutti gli effetti di un “trauma”: stimolo esterno troppo intenso, troppo duraturo, troppo frequente. Purtroppo, sappiamo che la risposta automatica ai “traumi” è la classica reazione FFF. Lo scenario aziendale tipico è, quindi, quello di una “chimica “negativa”: i leader, infatti, si infuriano, si defilano oppure rimandano le decisioni cruciali.

Esiste tuttavia un’alternativa: il lavoro sulla consapevolezza.

O, più precisamente, il lavoro sulla “mobilitazione cosciente” dell’attenzione: radunarla, indirizzarla, velocizzarla. Non vorrei semplificare troppo ma si tratta davvero di un piccolo bivio: di fronte ad ogni sollecitazione che supera una soglia di “normalità percepita”, dobbiamo attivare il nostro sistema parasimpatico e disattivare quello simpatico. Facile a dirsi ma …facile anche a farsi, secondo me. Oggi viviamo in un’epoca in cui l’allenamento della consapevolezza è scientifico (non ha più il bagaglio metafisico che aveva in passato) ed è portatile: ci sono molte ottime app che allenano l’attenzione esattamente nel modo che descrivevo e sviluppano col tempo la capacità di fare il salto dalla chimica dello stress (cortisolo, adrenalina, norepinefrina) alla chimica della felicità che voi insegnate (dopamina, serotonina, ossitocina, GABA, endorfina). Davvero:

è un salto alla portata di tutti ed il primo passo è rendersi conto che le reazioni FFF sono a basso costo sul brevissimo termine e ad altissimo costo sul medio lungo termine.

Il secondo passo è pensare l’allenamento dell’attenzione esattamente come ci siamo abituati a pensare l’allenamento del corpo: all’inizio pensiamo sia impossibile avere un corpo sano, poi in qualche modo ci convinciamo a frequentare una buona palestra, i risultati non arrivano subito ma se perseveriamo almeno un po’ utilizzando un buon metodo, frequentando un buon insegnante ed un buon gruppo di pari, dopo pochi mesi ci sorprenderemo di noi stessi

Nelle aziende che seguo, molto spesso vedo la dinamica di aggressività-remissività tra diversi livelli gerarchici e sempre di più sono le stesse persone coinvolte a rendersi conto dell’inutilità di queste reazioni e del fatto che la qualità delle loro relazioni influisce molto su clima, produttività e reputazione. La grande questione, quindi, diventa non tanto quale chimica produca il mondo VUCA nelle organizzazioni (quasi sempre, una chimica del distress) quanto il passaggio da quella alla chimica dello stato di FLOW. È qui che vedo l’utilità di ciò che voi, Dani e Veru, state facendo con la creazione di una figura ad-hoc come il CHO con le sue 8 competenze in cui la competenza 4, allenare se stesso, è, nel contesto di questa domanda, quella assolutamente centrale. Figure come il CHO potranno davvero fare da pionieri per una nuova comprensione ed utilizzo positivo delle opportunità celate in un mondo cosí sfidante come il mondo VUCA

Le scoperte della scienza stanno confermando che siamo biologicamente e fisicamente interconnessi e fatti per stare insieme e che la separazione è solo un’illusione, come diverse tradizioni spirituali hanno da sempre affermato. E’ un caso che siano comparsi modelli organizzativi – come le Teal Organization – o visioni economiche – come il Conscious Capitalism – che richiamano esplicitamente i temi dell’evoluzione della coscienza? Cosa hanno in comune questi nuovi approcci e visioni e, soprattutto, quali prospettive offrono ai leader e alle organizzazioni di oggi?

No, non è affatto un caso che siano apparsi questi modelli ma permettetemi una piccola nota qui. Le scoperte scientifiche fisiche o biologiche sulla interconnessione di tutte le cose sono grandi conseguimenti della mente umana ma non possono né avvalorare né smentire i fenomeni che hanno a che fare con la mente e lo spirito: si tratta di “livelli” dell’esistenza diversi. È una “teoria” diffusissima eppure si tratta di un fraintendimento. Lo studio universitario di filosofia e fisica misto alla pratica della meditazione mi hanno reso sempre molto scettico verso quella teoria. Negli anni, quindi, ho cominciato a studiare gli scritti dei grandi Fisici che erano anche grandi mistici. Proprio loro, curiosamente, negano questa possibilità di trasferire, ad esempio, le scoperte sul mondo quantistico al mondo spirituale. Alcune brevi citazioni. Einstein: “l’attuale moda di applicare gli assiomi della scienza fisica alla vita umana non è solo un errore, ma contiene anche qualcosa di riprovevole”. Quando l’Arcivescovo di Canterbury, Randall Davidson intervistò Einstein sugli effetti che la teoria della relatività avrebbe avuto sulla religione, Einstein fu lapidario “Nessuno. La relatività è una teoria puramente scientifica e non ha nulla a che fare con la religione”. Schroedinger non era da meno: “la fisica non ha nulla a che fare con la spiritualità. La fisica parte dall’esperienza quotidiana e poi continua con mezzi più raffinati ma rimane sempre confinata ad essa, non la trascende […] Il dominio della religione è molto al di là di qualsiasi cosa alla portata della spiegazione scientifica”. Schroedinger addirittura diceva che il tentativo di fare questo collegamento o, meglio, di usare la fisica per provare o smentire una qualsiasi realtà spirituale era “sinistro”.  

Detto questo…la bella notizia rimane: siamo interconnessi a livello fisico, biologico e anche spirituale.

Ma voglio essere un po’ pignolo e precisare che:

  1. Il fatto di “sapere” che esiste una interconnessione di tutte le cose non aggiunge assolutamente nulla all’esperienza personale dell’interconnessione (anzi, per certi versi la preclude perché dà l’illusione di averla già raggiunta);
  2. La fisica e la biologia non sono le scienze a cui guardare per quel tipo di interconnessione che ha a che fare con fenomeni umani come le dinamiche aziendali o addirittura la spiritualità;
  3. Esistono altre scienze alle quali guardare per questo e sono modelli teorici che descrivono la transizione speciale che l’umanità sta attraversando, il desiderabile scenario, in mezzo ai molti rischi, verso cui tende e, punto fondamentale, il “prezzo da pagare” per raggiungere quello scenario in cui si prospetta esattamente la consapevolezza presente nella vostra domanda: siamo fatti per stare insieme e la separazione è un’illusione. Traducendo in “aziendalese”, stiamo parlando di quell’insieme di competenze che permette di riconoscere, accettare e valorizzare ogni forma di diversità. 

Fatta questa premessa, i due modelli che citate, Teal organization e Conscious Capitalism, hanno in comune il fatto di basarsi su quella parte della Integral Theory chiamata Scienza dei Livelli in buona parte simile alla Psicologia dello sviluppo di cui, in genere, si conosce molto bene Jean Piaget. La cosa più veloce e fondamentale che si possa dire sulle Scienze dei Livelli è che hanno definitivamente dimostrato che

il mondo appare profondamente diverso a seconda del livello di complessità o maturità in cui si trova la propria mente.

Ci sono diversi modelli e metriche per definire il numero dei livelli di sviluppo e Ken Wilber ha fatto un lavoro utilissimo di sintesi tuttora insuperato in cui mostra che esistono non solo livelli ma anche raggruppamenti di livelli: il funzionamento di due persone che si trovano su livelli diversi è molto differente ma quello di persone che si trovano su TIER diversi non è semplicemente differente …fa quasi pensare a due specie diverse di esseri viventi! Nella figura si vedono diverse linee verticali che indicano le linee di sviluppo (cognitivo, morale, valoriale, dell’identità,…) e diversi colori sulla asse a sinistra che indicano i livelli di sviluppo. Su questa asse dei colori sono indicate anche le TIER o strati, raggruppamenti. 

Questi raggruppamenti ci conducono dritti al concetto della interconnessione.

La capacità di funzionare e agire in modo coerente con la consapevolezza secondo cui “siamo fatti per stare insieme” (in altre parole: ogni conflitto è superabile in quanto temporaneo e addirittura illusorio), compare soltanto al 2nd TIER con il famoso livello “TEAL”.

La transizione tra 1st TIER e 2nd TIER è talmente profonda che Clare Graves, pioniere di questi studi ed ispiratore dei padri della Spiral Dynamics Don Beck e Chris Cowan, la descriveva come un salto epocale nella storia dell’umanità che potrebbe segnare la differenza tra “ricevere e dare, prendere e contribuire, distruggere e costruire” facendo colmare quel “gap tra la motivazione stimolata dalla scarsità e la motivazione stimolata dall’abbondanza e dalla crescita”. Ken Wilber riassume questo salto epocale dicendo che al livello “teal” emerge per la prima volta la capacità cognitiva necessaria per rendersi conto che ogni livello precedente ha una sua verità parziale ed una sua legittima collocazione nella società, nelle aziende, nei sistemi relazionali.

Soltanto il livello “teal”, quindi, è nelle condizioni di poter creare una società “post-conflitto” dove l’interconnessione è non solo, permettetemi l’ironia bonaria, letta su un libro ma percepita, costruita, mantenuta grazie a capacità cognitive, emotive ed operative di altissimo livello.

Stare a questo livello richiede infatti, come si evince dal grafico, una capacità cognitiva estremamente elevata…e rara. Sappiamo infatti dagli studi di molti Scienziati dei Livelli (tra cui William Torbert, Robert Kegan, Bill Joiner,…) che addirittura il 90% della popolazione mondiale si trova nella 1st TIER. Quello che hanno in comune questi modelli è quindi che, più o meno esplicitamente, descrivono il salto da 1st a 2nd TIER ed è proprio per questo che le prospettive che essi possono offrire ai leader e alle organizzazioni sono immense anche in termini di innalzamento esponenziale del ROI delle iniziative formative. Questi studi teorici ed i loro correlati applicativi aiutano a creare ciò che chiamo “levels’ driven design”:

la capacità di progettare ed erogare programmi formativi che, misurato il livello di sviluppo medio di un gruppo, forniscano strumenti concreti per compiere l’unico salto possibile, quello al livello successivo.

Potrà sembrare banale ma, essendo anche il settore dello sviluppo organizzativo vittima del fenomeno delle “mode”, molto spesso si erogano strumenti formativi semplicemente perché “nuovi”: si finisce cosí per precocizzare la scalata sui livelli e, di fatto, bloccarla. Investire efficacemente nella formazione significa investire nella “learning zone” di individui e team ed il “levels’ driven design” individua con notevole precisione questa zona: ogni investimento al di là o al di qua di essa si traduce non solo in denaro sprecato ma in cattiva reputazione della formazione che, sempre più, rappresenta l’alleato fondamentale delle aziende per affrontare il mondo VUCA. Un rapido esempio usando il modello di Teal Organization. Leggendo il libro di Laloux, si potrebbe dedurre erroneamente che la migliore formazione oggi sia quella relativa al divenire appunto, una teal organization. D’altra parte, però, sappiamo che molte aziende italiane e straniere ruotano attorno al livello “red” con una gestione manageriale, cioè, che fa uso di potere ed impulsività, talento dei singoli, improvvisazione, nessuna industrializzazione dei processi, obiettivi a brevissimo termine legati alla mera sopravvivenza… Bene: immaginate di insegnare a queste aziende competenze proprie del livello teal come, ad esempio, lo Scenario Planning: fiasco totale. In una brutale sintesi:

la learning zone di un’azienda “red” è il livello amber e, anche se il mondo VUCA richiede aziende “teal”, saltare livelli è una distrazione o incompetenza imperdonabile.

Cambiare ed evolvere per un’organizzazione è sempre possibile, a patto che….? 

Nella mia esperienza sono stato testimone di cambiamenti davvero impensabili sia di persone che di organizzazioni. Quando facevo l’educatore, ad esempio, ho facilitato insieme ai miei colleghi cambiamenti straordinari in ragazzi preadolescenti già totalmente immersi nella criminalità. Sono stati cambiamenti che hanno richiesto molti anni e, in alcuni casi addirittura, si sono manifestati ben oltre la durata della mia carriera da educatore quando oramai avevo già cambiato lavoro da almeno 10 anni. Oppure sempre nella mia esperienza da educatore, la stessa struttura educativa in cui arrivai richiedeva un cambio totale della visione pedagogica e, conseguentemente, di tutta l’organizzazione logistica, dei rapporti con genitori, insegnati, giudici ed assistenti sociali. Ricordo che il team educativo era spaccato a metà: 2 educatori erano a favore di questo cambiamento (io ero tra questi) e gli altri 2 erano totalmente oppositivi. Un complicato esempio di Diversity&Inclusion nel terzo settore. Passammo un anno a farci la guerra fino a quando io e l’altro educatore “a-favore” capimmo che invece di fare la guerra “contro qualcuno”, era necessario fare continue azioni “verso qualcosa”: occorreva affermare concretamente una Vision e non negare la legittimità di un’altra. Fu un cambio epocale e, miracolosamente, gli altri due educatori in modo del tutto pacifico comunicarono dopo circa un anno che pur ammirando quella Vision, non era per loro: ci auguravano il meglio e noi a loro. Fu un esempio straordinario di passaggio dal conflitto “sanguinario” alla trasparenza di una scelta incompatibile e condivisibile: nessun licenziamento, nessun avvocato, nessun clima emotivo negativo né tra noi educatori né riversato sui ragazzi. Anche in quanto Corporate Trainer, ho avuto la fortuna di essere testimone di cambiamenti insospettabili che, come negli esempi precedenti, hanno richiesto una visione “pedagogica” chiara, azioni ripetute e allineate e …tanta pazienza, senza ironia.

Lo sviluppo umano, infatti, ha bisogno di tanto tempo all’inizio e se si resiste alla tentazione di “bruciare le tappe”, la velocità raddoppia, triplica, decuplica e le persone danno prova di enormi capacità.

Ricordo ad esempio il Founder di un’azienda che dichiarava valori “teal” ma nei comportamenti era purtroppo molto spesso “red/amber”: una contraddizione molto forte ma “in buona fede” perché questa persona era sabotata da alcune problematiche irrisolte del suo passato. Ci sono voluti 6 anni di formazione al suo gruppo ristretto, alla forza commerciale, a quella amministrativa e 2,5 anni di coaching per il Founder stesso e circa 1 per alcune figure centrali. Questo Founder si è messo in gioco moltissimo affrontando anche altri percorsi di crescita personale come la psicoterapia e la partecipazione a numerosi seminari di crescita personale. Allo stato attuale, il cambiamento è talmente visibile che sono gli stessi clienti interni ed esterni, diretti ed indiretti, a notarlo, farlo notare, rallegrarsene ed innescare una spirale ascendente di “passa-parola” senza precedenti che ha generato un impatto commerciale impensabile. Quindi: cambiare ed evolvere è sempre possibile per un’azienda? Certamente. A patto che? Bè, sinceramente non ho la formula esatta ma basandosi sulla mia esperienza e sui miei studi mi sento di dire che le condizioni per il cambiamento sono le seguenti:

  1. Un momento-verità sul possibile fallimento se il corso delle cose rimane invariato.
  2. Un momento-possibilità sul possibile cambiamento. Qui ci sono 4 evidenze da offrire: l’evidenza dei dati di altri interventi formativi simile che hanno funzionato; l’evidenza della Vision in termini sia di una chiara descrizione di come sarà lo scenario futuro sia di una robusta teoria del cambiamento; l’evidenza dell’affidabilità del consulente o team di consulenza in termini ad esempio di anni di carriera, reputazione, genuinità delle intenzioni; e l’evidenza del processo in termini di chiarezza su macro e microsteps da intraprendere.
  3. Un momento-decisione in cui compromettersi realmente e superare il punto di non ritorno.

Anche qui vedo centrale una figura come quella del CHO che immagino attrezzata sia in termini di misurazione dello stato attuale (vedi punto1) sia in termini di erogazione di programmi trasformativi.

Un’ultima condizione, decisiva: il consulente, o team di consulenza, che facilita un processo di questo tipo DEVE avere la “skin-in-the-game”, come ama dire Nicholas Taleb nei suoi libri. Il compenso della consulenza, ad esempio, deve prevedere forme concrete di WIN-WIN che vanno dal classico pagamento a fasi e ad obiettivi parziali raggiunti, al pagamento in provvigioni su risultati aziendali oppure ancora al riconoscimento di azioni societarie.

3 parole chiave per abitare senza stress il futuro e la complessità che secondo te devono entrare nel lessico e nelle attitudini dei leader e di un CHO. 

  1. CONSAPEVOLEZZA. Il CHO ha un ruolo meravigliosamente difficile: essere ciò che predica. Mi sono trovato per tanti anni in questo ruolo in quanto Trainer Soft-Skills ed è una condizione straordinaria. Una volta superata la fase narcisista del perfezionismo, si entra in una dimensione di graduale e continuo miglioramento di sé che, oso dire, è la vera differenza-che-fa-la-differenza. Affermare la possibilità e necessità della Felicità come vantaggio competitivo nel mondo del business significa necessariamente passare dal Cognosco al Sapio: dalla conoscenza nozionistica del cambiamento umano alla conoscenza “incarnata” sul cambiamento di sé. La ripetizione qui fa tutta la differenza: non ci si deve stancare di tornare pazientemente a lavorare su di sé. Ecco, il CHO è per me una persona con un lieve ed indistruttibile sorriso sul volto e con uno zaino per un lungo cammino: felice, perseverante ed in buona compagnia…innanzitutto la propria.
  2. BIG HISTORY. Dalla prima conferenza di WorldHistory (Salisburgo, 1961) ai recenti TEDTalks di BigHistory di David Christian e Bill Gates, è tutto un pullulare di iniziative meravigliose che ci mettono nella condizione di guardare la nostra epoca dal punto di vista macro. Perché è così importante? Perché in un’epoca di profonda transizione come la nostra, i bias cognitivi prosperano come i batteri nei bagni pubblici dopo un concerto oceanico… Siamo pieni di visioni distorte di passato, presente e futuro: retrotopie, negativity bias, distopie/utopie. Nel Mondo VUCA c’è un disperato bisogno di Pensiero Critico ed il migliore allenamento per questo tipo di pensiero è, secondo me, una corretta visione del passato, del presente e del futuro. BigHistory è un ottimo riferimento per il CHO che può grazie ad esso inserire il cambiamento culturale di cui si candida come facilitatore all’interno di un quadro evolutivo storico più ampio.
  3. ANTIFRAGILITÀ. Siamo una specie vivente meravigliosa in grado di imparare da se stessa e dalla propria storia fatta di errori e miracoli. Nichola Taleb ci ha regalato questo meraviglioso concetto che, a seguir la sua descrizione ed analisi, pare essere addirittura superiore a quello di resilienza: non soltanto, quindi, la Fenice che risorge ma addirittura l’Idra che si automoltipica dopo la decapitazione. Io amo collegare questo concetto a quello di apprendimento e citare la meravigliosa frase di Alvin Toffler: “L’analfabeta del ventunesimo secolo non sarà colui che non è in grado di leggere e scrivere, ma colui che non è in grado di imparare, disimparare e imparare di nuovo.” Noi esseri umani abbiamo nel nostro patrimonio memetico questa capacità di imparare dopo un fallimento, di automoltiplicare le nostre risorse dopo un momento di totale tracollo. I leader del XXI secolo ed i loro “buoni consiglieri” CHO, li immagino proprio cosí: antifragili e post-eroici. Capaci, cioè, di lasciare andare l’idea del perfezionismo e divenire come quela figura del “Progrediente” cosí be descritta da Epitteto nel suo famoso manuale: “Se ti trovi di fronte a qualcosa di doloroso o di piacevole o ancora che porta o non porta buona reputazione, ricordati che è in questo momento che ha luogo il combattimento, che è in questo momento che si svolgono i Giochi Olimpici, che non è più momento di arretrare e che la rovina o la salvezza del tuo progresso morale dipendono da un solo giorno, da una sola circostanza. È così che Socrate è diventato Socrate: esortando se stesso in ogni cosa a non dare retta a niente altro se non alla Ragione. Quanto a te: anche se non sei ancora socrate, devi vivere come se volessi diventare Socrate.”

3 tool a disposizione oggi del CHO per supportare la cultural transformation delle organizzazioni 

  1. La mappatura della cultura aziendale attraverso il Cultural Transformation Tool di Richard Barrett è uno strumento importantissimo per il CHO. Attraverso di esso si può misurare l’intangibile del capitale culturale di una azienda, distinguere valori positivi ed “entropia” culturale, si possono tracciare le interconnessioni tra cultura aziendale (intangibile) e processi aziendali (tangibili) e si può infine tracciare una rotta di cambiamento culturale precisa attraverso programmi formativi e di coaching basati sul rispetto del livello medio del target.
  2. I diagrammi causali del System thinking. Viviamo in un mondo VUCA la cui caratteristica principale è senza ombra di dubbio la complessità. Credo che un CHO debba saper mappare i nessi di causa ed effetto presenti in quell’organismo complesso che è l’azienda. Solo in questo modo potrà individuare dinamiche disfunzionali e funzionali, relazioni direttamente ed indirettamente proporzionali, archetipi sistemici e, soprattutto, potrà capire dove poter agire in modo da minimizzare lo sforzo e massimizzare il risultato.
  3. I 5 livelli della Agility di Bill Joiner. Strumento molto raffinato per mappare e poi sviluppare la competenza-sorgente della Agility per poi applicarla ai 4 contesti cruciali del contesto, stakeholders, creatività, self.

Qual è l’apprendimento più importante che hai maturato attraverso il tuo percorso umano e professionale?

È fondamentale superare le proprie paure: con gradualità, certamente, ma sempre e comunque. Pur in un quadro generale di gentilezza verso se stessi e gli altri, dobbiamo ricordarci che siamo l’esperimento evolutivo piu sofisticato nell’universo conosciuto e quindi dobbiamo imparare a chiederci sempre di più: questa è una vita ben vissuta? Noi possiamo essere tutto ciò che ammiriamo, fare tutto ciò che amiamo e capire tutto ciò cui portiamo continua attenzione.

Il mio messaggio è: basta cinismo, basta vittimismo e basta “voyeurismo del potenziale umano”: i veri “supereroi” sono quelli al di qua dello schermo.

Le Organizzazioni Positive sanno che…

“Stanno aprendo la strada ad un periodo estremamente positivo della storia umana: un periodo incerto ma, grazie a loro, sempre più probabile.”

– Simone Rosati –

3 autori/testi da leggere assolutamente per approfondire e comprendere meglio questi temi?

  • “Factfulness” di Hans Rosling. Ottimo per avere una visione del mondo basata sui fatti
  • “Singularity” di Ray Kurzweil. Necessario per sapere dove ci stiamo dirigendo
  • “Quaderno d’esercizi di mindfulness” di Ilios Kotsou e J. Augagneur. Un libro molto pratico che guida nei primi steps di questa competenza fondamentale per il XXI secolo

Simone è un professionista e un uomo che rispecchia molto bene le qualità e le competenze sistemiche ed integrate tanto necessarie a navigare la complessità dei nostri tempi. E’ per questo che è uno dei docenti del percorso di certificazione in CHO. A Simone abbiamo chiesto quindi di raccontarci meglio qual è stato il suo percorso di sviluppo e lui ci ha dedicato l’approfondimento che trovate di seguito e che riteniamo utile e di profonda ispirazione per comprendere come costruire una strada illuminata dalla ricerca della saggezza e della felicità da condividere con gli altri.

Innanzitutto, lasciatemi dire che è davvero un enorme piacere essere “qui” con voi e far parte di questo straordinario percorso da voi creato che si chiama CHO.

Questa vostra domanda mi consente di fare un bellissimo viaggio autobiografico: uno “stile” di viaggio che adoro a tal punto da tenere un diario personale da circa 24 anni e sul quale ad un certo punto racconto che il mio percorso di Crescita Personale, iniziato a circa 15 anni attraverso la lettura, si è trasformato con grande naturalezza in un percorso di Carriera e Crescita Professionale, iniziato invece più tardi a 23. 

Partiamo dall’inizio. Mio padre aveva una grande libreria con libri di religione, psicologia e crescita personale: li consultavo con reverenza e curiosità prendendo ispirazione da ciascuno di essi che, allora, leggevo disordinatamente guardando indice e qualche paragrafo che mi attirava. Emozioni profondissime. 

L’inizio “formale” di tutto è stato duplice con un libro ed un cantante: un classico della Crescita Personale “Te stesso al 100%” di Wayne Dyer e Franco Battiato. 

Il primo mi introdusse al concetto di potenziale inespresso misteriosamente nascosto in ciascuno di noi. Il secondo, invece, fu più uno shock positivo emotivo: guardando la mitica VideoMusic mi imbattei in “Povera Patria” di Franco Battiato e fu subito un amore profondissimo che mi ha poi accompagnato per tutta la vita. Costrinsi mia madre ad uscire insieme e comprare l’album di cui “Povera Patria” faceva parte (“Come un cammello in una grondaia”) e subito provai il secondo shock con “L’Ombra della Luce” che conteneva una descrizione precisa di certe mie esperienze “religiose” nell’infanzia e preadolescenza. 

In questo modo hanno avuto inizio tutte le avventure che voi gentilmente ricordate in cui crescita personale e professionale sono inscindibilmente legate e che, tentando una sintesi, potrei raggruppare in un quindicennio e 3 decenni

  • PRIMO QUINDICENNIO: 75-90. Nell’infanzia e preadolescenza le mie parole chiave sono: misticismo; ascolto empatico; Londra; sport e ambidestrismo. 

Il misticismo. Nasco in una famiglia molto religiosa e le mie prime esperienze di preghiera sono molto profonde. Il culmine lo raggiungo grazie al preside della mia scuola delle medie che insegna a me, e ai miei compagni, un metodo di preghiera che, anni dopo, scopri essere un modello di preghiera di totale assorbimento nella parola “mantra”. 

La frequentazione costante del mondo interiore mi avrebbe portato molti anni dopo ad incontrare la Mindfulness e portarla in centinaia di aule come skill di preparazione e navigazione del XXI sec

Ascolto empatico: aiutare mi fa felice. È una domenica mattina del 1983/85 più o meno. I miei dormono mentre io e mia sorella siamo già svegli. Lei è molto triste per questioni legate a primi amori. Parliamo. Io la ascolto tantissimo e le do qualche consiglio di cui ora non ricordo nulla. L’effetto però è ben presente nella mia mente: mia sorella si rasserena, smette di piangere e mi ringrazia. Ricordo di essere sceso poi in cortile a girare un po’ con la bicicletta: ho toccato il cielo con un dito.

È proprio quella gioia davvero sottile dell’aiutare una persona ad aiutarsi-da-sé che mi accompagna tuttora nella mia pratica da Coach. 

Londra. Neanche compiuti i 10 anni, il coraggio di mio papà convince mia madre a mandarmi a Londra. Un’esperienza che mi ha segnato per tutta la vita: l’amore per l’inglese, per l’estero e per questa grande capitale dove, negli anni successivi, sono tornato spessissimo per piacere e per lavoro In quel viaggio, mi innamoro del mondo e conio una frase: l’Italia è bellissima…il Mondo ancora di più. 

Non sapevo che intorno ai 35 anni sarei diventato una sorta di “globetrotter” a causa del mio lavoro da Formatore. 

Sport e ambidestrismo. Da bambino “iperattivo, lo sport ha rappresentato per me una canalizzazione molto utile. Calcio soprattutto e tennis sono stati i primi campi di addestramento dove mio papà, grande appassionato di apprendimento, mi insegnava sempre il colpo più difficile. Se sapevo tirare bene con la gamba destra, mi allenava a provare con la sinistra. Se avevo un bel dritto, perché non provare col rovescio? E, una volta imparato un buon rovescio, perché non divertirsi a giocare col braccio sinistro? 

La pratica dell’ambidestrismo era stata “installata” in me con risvolti che allora erano imprevedibili e che mi indirizzarono dritto verso giocoleria, leggi psicologiche dell’apprendimento, neuroscienza della plasticità cerebrale e aziende “ambidestre”. 

  • DECENNIO: 90 – 00: Praticamente un decennio che ha deciso le sorti di tutta la mia vita. 

In questi anni avviene una esplosione nella direzione della ricerca interiore e la graduale, naturale trasposizione di essa in quello che sarebbe divenuto il mio amato lavoro: il formatore. Tramite l’approfondimento di Battiato e le primissime esperienze di meditazione durante i ritiri di King Fu, inizio un graduale e pacifico distacco dalla religione per entrare nella spiritualità. Inizio le prime letture “autoconsigliate” con i miei indimenticabili primi tre libri: il già citato “Te stesso al 100%” trovato nella libreria di mio padre, il grandissimo “Saper leggere” di Giuseppe Prezzolini ed uno strano libro il cui titolo mi aveva affascinato per l’audacia con cui affrontava il tabù dei tabù: “La dolce morte: conoscere per non temere” di Georges Barbarin. 

La lettura profonda e fortemente transdisciplinare è da allora stata una mia costante alleata nella risoluzione degli intricati problemi che i miei clienti mi hanno sottoposto

Questo è anche il decennio in cui, a 19 anni, partecipo al mio primo corso di formazione sulle tecniche di apprendimento: mi esercito su mappe mentali, tecniche di memoria, tecniche di lettura rapida, dinamica mentale, psicocibernetica, tecniche di rilassamento. Dopo tutto questo, ho un’unica granitica certezza: io farò questo lavoro. 

Questo è esattamente il punto di svolta in cui la crescita personale divenne carriera.

Nel Natale del 1995, la mia fidanzata di allora mi regala il libro che in assoluto ha cambiato maggiormente la mia vita: “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” di Pyotr Demianovich Ouspenskii, il grande allievo di Georges Ivanovič Gurdjieff: probabilmente uno dei più geniali ricercatori spirituali di tutti tempi. Questo genio caucasico mi introdusse praticamente a tutto: intelligenza emotiva, ecologia, sitting e on-the-go meditation, coerenza corpo-cuore-mente, PNL ante litteram , autobiografia, psiconeuroimmunologia ante litteram, pratiche di digiuno, arteterapia, poliphasic sleeping, chimica degli stati emotivi, psicomotricità… Fui così testardo e fortunato da mettermi alla ricerca di uno scuola seria di meditazione diciamo “a stampo gurdjeffiano” e dopo 2 anni di ricerche la trovai: iniziava un lunghissimo lavoro pratico di 13 anni in cui non c’è stata neanche una settimana senza un esercizio, una riflessione da descrivere nei miei diari ed una condivisione da fare con un gruppo di ricercatori come me. 

Devo a questo lavoro su di me estremamente pratico, quella  marcia in più che mi ha permesso di essere percepito (quasi) sempre come un Formatore che fa ciò che dice …ovviamente con tutti i miei innegabili limiti.

Un’altra passione travolgente di questi anni era Leonardo Da Vinci. Avevo una vita molto intensa: studiavo Filosofia all’università, pianoforte e composizione con un grande maestro albanese, Kung Fu con un Sifu italiano di grande valore morale, seguivo le lezioni di acrobazia e giocoleria circense, partecipavo a gruppi di crescita personale ed in più ero fidanzatissimo con una ragazza che seguiva molte di queste passioni. Fu grazie a questo stile di vita che il nome di Leonardo da Vinci mi riecheggiò come il Modello dei Modelli in una trasmissione televisiva: e anche qui, fortunato e testardo al tempo stesso, un libro mi trovò e fu subito amore e tanta tanta pratica. Il libro era “Pensare come Leonardo” di Michael Gelb. 

Grazie a questa passione, ho iniziato molto presto e grazie ai miei diversi Mentori a lavorare con dei Team Building molto innovativi in cui usavo un mix di arti marziali, juggling, musica e tecniche di apprendimento.

Chiude questo decennio l’inizio ufficiale del mio lavoro come formatore nel 1998 come formatore junior nei corsi di Tecniche di Apprendimento, la mia prima partecipazione ad un grande seminario di crescita personale con circa 1000 persone nel 1999 e la conoscenza, tramite libri, di uno dei capisaldi di tutta la mia carriera professionale: il grandissimo Stephen Covey. 

  • DECENNIO: 2000- 2010. Questi sono anni di consolidamento ed espansione. Continua la crescita personale con meditazione, studi filosofici, gruppi di crescita personale che, in alcuna parte, inizio a guidare io stesso e numerosi seminari di crescita personale con migliaia di partecipanti dove divento parte integrante dello staff. 

L’allenamento della giocoleria si intensifica e mi porta oltre la mia timidezza ed entro a far parte di 2 compagnie di Teatro di Strada. 

Il lavoro nelle aule si espande sia in termini contenutici (comunicazione e PNL) che geografici (Svizzera) e dopo la laurea in Filosofia della Mente, avviene il cambio totale: mi trasferisco a Milano ed inizio il lavoro intensissimo ed illuminante da Educatore Professionale per adolescenti a rischio di marginalità sociale. Nei weekend, continuo a fare il formatore sia sulle Tecniche di Apprendimento sia su tematiche pedagogiche.

Non è esagerato affermare che è proprio col lavoro da Educatore, e non nelle aziende, che mi si apre il cuore verso l’altro e quella lontana esperienza di aiuto verso mia sorella a poco meno di 10 anni comincia a divenire realtà con le prime certificazioni da Coach.

Prendo numerose certificazioni (PNL, Coach e Trainer di Intelligenza Emotiva, Pensiero Laterale,…) e continuo con la mia vita molto intensa e per me molto bella ma lo studio accademico mi manca moltissimo. Nel 2007 torno in accademia e vinco una Borsa di studio al Centro di Ricerca per gli studi sulla Complessità di Bergamo ed inizia l’avventura del Dottorato di Ricerca che mi porterà fino a San Francisco in cui vivrò per circa 5 mesi nel 2009: una città che ha segnato profondamente la mia vita.

Grazie al dottorato di ricerca conoscerò due grandiosi “panoptic thinkers” che saranno non solo oggetto della mia Tesi di Dottorato ma che diventeranno due riferimenti assoluti del mio pensiero, ricerca spirituale e carriera organizzativa: i grandissimi Edgar Morin e Ken Wilber. Soprattutto quest’ultimo, con la sua smisurata ampiezza e profondità di pensiero, segnerà irrimediabilmente il mio modo di “fare aula”.

Nell 2008/2009 inizio un progetto formativo molto intenso per una importante Banca Italiana che mi impegnerà continuativamente per circa 5 anni con cadenza settimanale: un punto di svolta fondamentale della mia carriera.

A livello spirituale, lascio con serenità la scuola “a stampo gurdjieffiano” aprendomi a nuove esperienze/tecniche e incontro la grande e abissale novità della psicoterapia: uno strumento da me ovviamente conosciuto, apprezzato “a parole” ma per troppo tempo trascurato. Mi rendo conto che la psicoterapia è, insieme a meditazione e coaching, il trittico inevitabile del cammino della crescita personale. 

In un momento di grandissimo fermento, lascio il lavoro da Educatore che allora definii scherzosamente un lavoro con “un cuore grande e un piccolo portafoglio” e inizio a rendermi conto che ricchezza interiore ed esteriore possono, probabilmente devono, andare di pari passo. In un gesto che lasciò sbalorditi molti, mentre continuo a fare il Formatore in varie aziende ed il Trainer/Coach di Tecniche di Apprendimento durante i weekend, inizio a lavorare come Trader privato in borsa con 2 capi meravigliosi che mi hanno insegnato tantissimo. 

Strano a dirsi ma fu proprio questo lavoro che, insieme a quello da Educatore, mi offrí la migliore palestra per studiare l’intelligenza emotiva in me stesso…non (solo) nei libri. 

  • DECENNIO: 2010 – 2020. Un decennio caratterizzato da una espansione internazionale molto importante, dal matrimonio con mia moglie Marilù, dalle grandi prove da mnemonista e dal cambio del mio percorso di meditazione.

Nel 2011 faccio la classica proposta matrimoniale a Marilù ed inizia un’avventura meravigliosa di grandi gioie e grandi sfide che, ancor più e ancor meglio del lavoro da Educatore e Trader, è stata ed è la palestra emotiva più importante della mia vita. 

Lo cito qui perché io credo profondamente che le aziende debbano imparare dalle relazioni intime a lungo termine una qualità fondamentale dei nostri tempi: riconoscere, gestire e gioire della diversità. 

Nel 2012, vengo selezionato come SoftSkills Trainer per l’Onu ed inizia un rapporto mai conclusosi e sempre più intenso che mi ha portato in Spagna, Uganda, Libano, Svizzera e mi ha fatto incontrare e formare centinaia di professionisti: dalle Assistenti Personali fino ai Direttori D2. Nel 2014/15, inizio a lavorare come Training Designer, Trainer, Coach, Train the Trainer per H&M e, anche qui, inizia un rapporto mai conclusosi e sempre più carico di responsabilità che mi ha portato in Spagna, Portogallo, Svizzera, Atene, Bulgaria, Parigi,… Per altri clienti, inoltre, torno in California ed inizio ad esplorare la Cina. 

Nel 2011, sono il primo italiano ad affrontare il mitico Campionato Mondiale di Memoria. Partecipo e raggiungo degli ottimi record personali e nazionali nelle varie discipline e conosco i mitici Tony Buzan e Dominique O’Brien. Continuo a partecipare a diversi campionati, nazionali ed internazionali fino alla grande esposizione mediatica del SuperBrain 2018 dove vinco il primo premio per la mia prova di memorizzazione. 

Lo cito qui perché credo profondamente che nel XXI secolo dobbiamo passare dalle chiacchere ai fatti relativamente al nostro potenziale cerebrale e la memoria, con le sue antichissime tecniche, è oramai uno dei campi più studiati e verificati. Il mondo del XXI secolo ci chiede di pretendere di più da noi stessi e una buona intelligenza emotiva, softskill sulla bocca di tutti, non può prescindere da un potenziamento cognitivo. 

Inizia in questi anni anche una nuova fase della mia ricerca spirituale: nel 2014 inizio il percorso dei famosissimi “ritiri dei 10 giorni” di Vipassana secondo la metodologia di Goenka. La Mindfulness è entrata a pieno nel “catalogo” delle softskill e qui ho conosciuto profondamente le sue origini. 

Se esiste una “skill” del XXI sec, questa è molto probabilmente ciò che gli inglesi chiamano il passare dalla “reflection-ON-action” alla reflection-IN-action”: la mindfulness, e la sua Madre Vipassana, sono lo strumento più potente per ottenere questa skill. 

In questo decennio, mi specializzo in varie altri settori della formazione aziendale come l’Integral Coaching, la Mindfulness, il Cultural Transformation Tool Coaching, Crucial Conversation, Scenario Planning, Kepner Tregoe Problem Solving and Decision Making, Project Management,…e nel 2017 inizio l’Executive MBA a Londra dove, a chiusura dei 2 anni, vinco, insieme al mio team, il premio “Entrepreneurship” per la migliore Startup.

Il supersforzo che mi ha richiesto il percorso di studi EMBA è stato molto più elevato del previsto ma ha risposto pienamente alla mia aspettativa di diventare un “Esperto SoftSkill-senza-paraocchi” perché una scommessa “sicura” per la formazione aziendale del XXI,  è proprio la costante alleanza di hard e soft skills. 

Chiudo questo decennio con la conoscenza del famosissimo Antony Robbins attraverso la partecipazione a tutti i suoi live events: un gigante della crescita personale che mi spinge verso nuovi ambiziosi obiettivi.

Questa è, in poche pagine, il mio percorso personale e professionale: il COME sono arrivato fino ad oggi. Sul PERCHÉ io ci sia arrivato, mi limiterò ad un breve e buffo aneddoto. Un paio di edizioni precedenti al SuperBrain 2018, mi avevano già contattato in quanto mnemonista italiano abbastanza famoso ma la prova che proposi non piacque molto. Durante i provini mi fecero una intervista e mi chiesero quale fosse il mio più grande obiettivo ed io risposi “il nirvikalpa sahmadhi”. La reazione fu la classica esclamazione romana “machevordí???”. Non mi dilungo sulla galassia dietro quel termine cosí roboante, ma devo dire in tutta onestà che per me è davvero sempre stata molto chiara la direzione da intraprendere:

“la vita ha uno scopo ed è quello di raggiungere

saggezza e felicità e aiutare gli altri a fare lo stesso.

SIMONE ROSATI”

Questa, in breve, ciò che mi guida (quasi) sempre in ciò che faccio e la mia carriera non è altro che un packaging elegante di questo contenuto e dono che tento e spero di fare a me stesso e al mondo che incontro.