Daniele Di Fausto
AD di eFm
L’azienda che immagina e crea luoghi di connessione e coinvolgimento
Se siamo qui a raccontarti la storia di eFM è per testimoniare anche perché è importante fare rete tra persone, professionisti e organizzazioni che condivi- dono gli stessi valori e il funzionamento concreto della legge di risonanza. Eravamo alla ricerca di organizzazioni con un’anima e uno scopo forte e intuivamo che avremmo trovato poco di ciò che cercavamo andando a pescare tra lo storytelling della stampa più rinomata in tema di management italiano. Così ci siamo messe a scandagliare nel portale de L’Italia che Cambia (ne parleremo nel prossimo capitolo) ed è così che è spuntata fuori la storia “Io faccio così #183 – eFM, progettare luoghi per far evolvere le organizzazioni”. Sottotitolo della storia: “Progettare e gestire luoghi che siano funzionali a chi li abita con l’obiettivo di migliorare l’esperienza della persona nel posto o renderlo coerente con l’attività che vi si svolge all’interno. È questa la missione di eFM, società che lavora molto con le aziende ma anche con enti o strutture pubbliche come ospedali, scuole, spazi pubblici.
Bingo! I nostri amici dell’Italia che Cambia ci hanno messe subito in contatto con Emiliano Boschetto, Communication manager, e Daniele Di Fausto, AD, che, di lì a poco ci hanno fatto respirare tutta l’energia, la positività e la coerenza che incarnano e che derivano dal profondo senso di “scopo” che guida la loro organizzazione.
Perché e come è nata eFM?
eFM è una società fondata nel 2000 ed in breve tempo si è imposta come leader nella trasformazione digitale dei luoghi. La scintilla iniziale e pionieristica è stata quella di trasferire in Italia la cultura della verifica del risultato nei processi di gestione immobiliare, in un campo in cui sprechi, discrezionalità e mancanza completa di trasparenza erano la regola. Come evoca la lettera “e” del nome (che stava per “electronic” e ora sta evolvendo verso un richiamo all’engaging delle persone negli ambienti), ha sempre avuto una forte vocazione all’ innovazione. 17 anni fa era una società focalizzata sul facility managment, aiutando i professionisti del settore ad evolvere da colletti blu a bianchi, instillando all’interno delle aziende la consapevolezza che la gestione dei servizi “no core” potesse diventare una leva strategica per diminuire i costi di gestione e aumentare la qualità e il comfort della vita negli immobili. Nel campo del Facility eFM offre consulenza nell’area del procurement dei servizi, nella ridefinizione dei processi operativi e fornisce sistemi informativi, il tutto finalizzato a migliorare l’esperienza delle persone a vivere I luoghi. Con il tempo le competenze di eFM si sono arricchite prima nel Property, con l’acquisizione di una società specializzata e dotata tra l’altro di una piattaforma di gestione informativa innovativa (tasse, locazioni, condomini, utenze,…) e infine nella Progettazione, anche qui con l’ingresso nel gruppo di uno studio affermato di ingegneria focalizzato sulla progettazione sia architettonica che impiantistica, in grado poter offrire la progettazione e la realizzazione di luoghi (intesi come interazione tra spazi e persone) smart e soprattutto personalizzati sulle esigenze dei futuri “abitanti”.
Seguendo questo spirito innovativo da circa 2 anni abbiamo innestato un settore in azienda che si occupa di Culture & People Transformation. Siamo ora in grado di offrire alle grandi corporate (la maggior parte delle quail sono nostril client) soluzioni integrate (place, people e platform) che le aiutano a diventare “Engaging Fields”, luoghi in cui le persone, i team, la tecnologia, l’organizzazione, i processi e gli spazi fisici sono tutti orientati alla manifestazione del Purpose.
Questo lavoro ci ha portato ad ampliare la nostra value proposition: tecnologia, processi, spazi e ora persone. Una visione integrata che accompagna e indirizza la persona nel contesto multidimensionale proprio del nostro tempo, riducendo ad un’unica esperienza relazionale la molteplicità di livelli comunicativi possibili, la rende capace di orientarsi e cogliere il nuovo mondo di collisioni, di creazione e di generazione di valore che la Digital Transformation abilita e pretende.
Qual è lo scopo dell’organizzazione?
Il nostro purpose è riassumibile in “sustain engaging places for a better life”. Sustain: eFM progetta, gestisce e supporta gli immobili e i servizi per il loro funzionamento rendendoli sostenibili dal punto di vista economico, sociale, ambientale e tecnologico.
Considera l’intero ciclo di vita dell’immobile, dalla progettazione fino alla sua dismissione, con un approccio diretto a migliorare la sostenibilità e incentrato sul concetto di benessere individuale e collettivo. Engaging Places: trasforma l’esperienza abitativa, attraverso una connessione armonizzata tra persone e spazi, tra i due mondi convergenti: quello fisico e virtuale. For a better life: disegna luoghi e processi mettendo la persona al centro e connettendo attività, persone e cose.
Noi immaginiamo un nuovo mondo di luoghi fisici e digitali, dove persone e cose connesse in armonia, condividono, apprendono ed evolvono per migliorare la nostra vita. Questo mondo è qui. Ora.
Come è stata selezionata e formata la squadra iniziale di collaboratori e come scegliete i nuovi collaboratori? Lo “scopo” dell’organizzazione ha avuto e ha un qualche ruolo di guida e orientamento in questi processi?
eFM è nata nel 2000 da 3 fondatori e un paio di collaboratori accomunati da un percorso comune di studio e lavoro, e dall’idea di rivoluzionare un settore piuttosto arretrato – la gestione immobiliare – attraverso tecnologia e trasparenza. Lo scopo di ‘costruire’ un mondo nuovo, fatto di engaging places, ha ispirato sin dall’inizio la selezione dei collaboratori: senza un’adeguata motivazione e condivisione del purpose, che è ciò che in ultima analisi determina il successo della proposta innovativa di eFM, difficilmente è possibile affrontare con successo questo tipo di lavoro.
Per guidare una realtà come eFM è necessario essere permeato di questa sfida/avventura. Io sono stato uno dei primi collaboratori assunti, quando dovevo ancora finire l’università. Se ne sono diventato AD è perché chi ha fondato questa azienda aveva stabilito fin dall’inizio di lasciare ad una certa data il timone ad un giovane. E questo non per stanchezza – il fondatore lavora tutt’ora con energia – ma per il senso di fiducia sulla crescita personale e di comunità che deve caratterizzare un’azienda che pretende di essere evoluta.
Per realizzare soluzioni davvero innovative è necessario che il processo di creazione del valore sia fortemente connesso al processo di elaborazione dei valori.
Quali sono i principali processi, le procedure, le pratiche, le iniziative e le politiche rivolte ai membri dell’organizzazione che rendono EFM un’organizzazione positiva?
Per rispondere a questa domanda sono sufficienti tre parole, tra loro intimamente connesse: condivisione, fiducia e responsabilizzazione. Chiunque in eFM può e deve sentirsi parte, protagonista e attore del processo di cambiamento proposto dalla mission. A questo si conformano una serie di iniziative molto pratiche, come ad esempio l’assenza di qualsiasi azione di verifica e controllo della presenza; nessuna verifica dei rimborsi spese; etc. In generale non saprei dire se la nostra organizzazione possa definirsi tecnicamente ‘teal’. Sicuramente il nostro lavoro si basa su processi definiti nell’ambito di circles, dove i ruoli sono legati a progetti e non assegnati in maniera fissa. Ognuno può avere ruoli differenti in diversi percorsi.
Da noi è molto importante anche la categoria del ‘tentativo’ e quindi quello dell’errore. Questo richiama direttamente ad un altro tema dirimente: il processo di apertura interna ed esterna alle ‘collisioni’ attraverso l’open innovation. Un esempio recente e molto concreto aiuta a capire questo concetto. Un giovane manager quasi un anno fa mi ha proposto un’idea nata dalla una sua tesi di MBA. Mi è piaciuta molto e l’ho invitato a condividerla nella nostra ‘Collsion Square’, sottoporla ai colleghi e selezionare fra gli eventuali interessati un team.
E poiché l’idea insisteva su un modello sostanzialmente B2C (mentre noi lavoriamo prioritariamente sul B2B) ho finanziato al team un percorso di accelerazione in Luiss Enlabs – noto acceleratore di startup. I ragazzi sono usciti e hanno affrontato il mare aperto da soli: era l’unico modo per far crescere loro e attraverso di loro l’idea. Così è nata MYSPOT, il ‘coworking diffuso’, la piattaforma per lo Smart Working, un misto fra LinkedIN e AirBnB (https://www.myspothub.com/map#!/places ). Ma la cosa veramente importante è stata la crescita personale che in poco tempo hanno realizzato i ragazzi, il know-how acquisito in un ambiente esterno che, una volta rientrato in eFM, ha portato una ricchezza di conoscenze e competenze incredibile, una capacità di diffusione di energie che poche volte avevo visto.
Non posso avere la certezza che funzionerà (per ora le cose vanno molto bene) ma già il valore che questo esperimento ha portato è eccezionale, ha ripagato umanamente ed economicamente il progetto. Senza una cultura positiva, fondata sulla fiducia reciproca e sul valore del ‘tentativo’ (che può implicare anche l’errore) non sarebbe stato possibile. Diciamo: comunque vada sarà un successo!
“l’avversario vero è lo scetticismo.”
Quali sono gli indicatori di “successo” di eFM?
eFM ha indicatori ‘classici’ di successo evidenti: crescita costante e continua del fatturato e dei dipendenti, internazionalizzazione. Ma forse l’indicatore più importante è quello dell’innovazione. Abbiamo sempre creduto – e con la nuova sede anche fisicamente realizzato – al valore propulsivo generato dalle contaminazioni e dalle collisioni, sull’esterno e sull’interno. I nostri spazi e i nostri processi sono elaborati per favorire ed alimentare le connessioni. Da quando abbiamo realizzato ad esempio la nuova sede con la sua ‘Collision Square’ – una grande piazza, con tavolini, gelato , schermi costantemente connessi alle altre sedi – la media di generazione di nuove idee (spin off, startup, etc) è passata da una ogni due anni a quattro l’anno. Questo probabilmente l’indicatore riassuntivo maggiormente indicativo di ‘cosa siamo’.
Quali numeri, risultati positivi ha registrato EFM dalla sua nascita (es. numero di dipendenti, aumento clienti, progetti, fatturato, sedi….)?
Quella di eFM è una storia ricca di impegno, passione, una storia che conduce di volta in volta a nuovi progetti e a modelli di impresa di successo. Nel 2000 eFM aveva 5 dipendenti oggi siamo quasi 300 distribuiti su 5 sedi (Roma, Milano, San Paolo, Rio de Janeiro e Dubai) in 3 continenti, tutti impegnati ogni giorno a rendere i luoghi più coinvolgenti, confortevoli, produttivi e sostenibili. Hanno creduto nelle nostre competenze le principali aziende leader nei loro mercati e che rappresentano l’intero settore del real estate: costruttori, proprietari immobiliari, corporate user, service provider.
Un dato su tutti che fa capire meglio il nostro target: 7 delle prime 8 aziende italiane sono già nostre Clienti. Con grande soddisfazione devo dire che anche i numeri stanno dando ragione al nostro modello: il valore della produzione dall’anno della fondazione non ha mai smesso di crescere e nell’ultimo bilancio abbiamo sfiorato i 20 milioni di euro con incremento sull’anno precedente del 15%. Importanti traguardi li abbiamo ottenuti anche dalle istituzioni:
nel 2010 abbiamo vinto il Premio Nazionale Innovazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Premio Imprese x Innovazione di Confindustria;
nel 2013 sono stato riconosciuto “Manager di Eccellenza” da Manager Italia, CFMT e Confcommercio;
nel 2014 abbiamo ricevuto il Premio Best Practice PA per la miglior gestione di Patrimoni Immobiliari Pubblici e il premio internazionale European Business Award nella categoria 0 – 25 milioni;
nel 2015 la città di Assisi ci ha assegnato il premio “FAMILY FRIENDLY ”;
nel 2016 la nostra centrale di governo smart dei nuovi 4 ospedali toscani ha ottenuto il premio “Innovazione S@lute 2016“ da parte di Allea, Forum PA e Regione Lombardia, ed infine quest’anno un doppio riconoscimento: il recentissimo BIM&DIGITAL AWARD nella categoria edilizia di grandi dimensioni da parte di Building Smart Italia e Digital & BIM Italia e la menzione speciale “Premio best practice Patrimoni pubblici 2017” nel 11° Forum Nazionale Patrimoni Immobiliari Urbani Territoriali Pubblici.
Vi è mai capitato, vi capita di dire NO a qualche cliente o progetto? Se sì, perché?
Qualche volta. Soprattutto recentemente. Noi siamo conosciuti per soluzioni di altissima qualità adattate al cliente. Seguire le esigenze del cliente è importante, non solo economicamente. I nostri clienti poi, sono tutte le maggiori corporation italiane.
Ma noi vorremmo far diventare questa qualità sempre più un modello. Allora, per generare modelli di innovazione, è necessario rinunciare a qualche risultato oggi investendo su noi stessi e sul nostro futuro e sul modello di cambiamento che possiamo proporre.
La “leadership positiva” richiede alle persone che guidano e gestiscono le organizzazioni di integrare il paradigma razionale-economico (per garantire la crescita e l’efficacia dell’organizzazione) con il paradigma emotivo-umano (per consentire alle persone di fiorire). Tu come ci sei arrivato?
Credo che la ‘positività’ stia diventando sempre più da buon auspicio a fondamentale necessità. In questo senso, se non ci sono ancora evidenze incontrovertibili sicuramente abbiamo ormai numerosissimi ‘indizi’ che al nostro tempo la fiducia migliori la qualità delle persone, al livello umano e quindi produttivo. Se è vero questo, significa che le aziende devono diventare organizzazioni che consentano di innestare processi positivi nelle persone. La sfida del leader in questo momento non è tanto e solo convincere che questa sia la strada giusta, ma quello di avere la forza di perseguirla con il sorriso e la determinazione, andando oltre i mugugni, i ‘te l’avevo detto’, che sorgono in continuazione nel passaggio di paradigma. Se si intraprende la strada della positività bisogna andare fino in fondo: in qualche modo è una profezia che si auto-avvera.
Quali sono, se ne hai, le tue pratiche o routine quotidiane del benessere? Come ti prendi cura di te, cosa fai per rilassarti, ricaricarti, rimanere centrato, positivo, in salute?
Una delle caratteristiche alla base del successo e della credibilità di eFM risiede nel fatto che noi sperimentiamo su noi stessi l’innovazione di cui ci facciamo portatori.
Anche io provo ad essere ogni giorno un uomo-laboratorio!
Oltre a seguire i percorsi strutturati di mindfullness che proponiamo in azienda, in questo momento sto facendo due esperimenti in particolare.
Noi lavoriamo sull’utilizzo dei dati, quindi sul digitale che si mette a servizio di un’esperienza analogica più piena. Io studio costantemente i miei dati biometrici. Interagisco con il mio feet beat per verificare il mio approccio alle diverse situazioni quotidiane. In particolare sto lavorando per tutelare la qualità del sonno: trasferire fiducia e positività funziona pienamente se, oltre alle parole, segue il sostegno empatico. Trasferimento che necessita delle migliori energie: il giusto rapporto con il sonno e una delle maniere più efficaci, e tutto sommato più semplici, per averne.
Altro lavoro con i dati è quello sulle connessioni. Con il nostro ‘digital assistant’ sono in grado di capire e mappare le mie relazioni spaziali (luoghi che frequento), organizzative (meeting, appuntamenti) e digitali (mail, skype call, etc). Siamo in grado di monitorare il grado di engagement reciproco nell’azienda. Io ho inventato un gioco, una specie ‘blind dating’: chiedo al ‘digital assistant’ di individuare le persone con cui ho meno relazioni. Una volta trovate faccio mandare loro un calendar proponendogli un caffè, chiunque sia la persona!
Vedere il Ceo che ti invita all’improvviso a prendere un caffè con un messaggio genera negli interlocutori tutto l’arco delle reazioni umane: panico, curiosità, ilarità, orgoglio, etc. E’ un gioco, ripeto, ma ricomporre e migliorare la qualità e la pienezza delle connessioni e delle relazioni non è solo il nostro obiettivo, ma credo anche il veicolo principale per la crescita di valore di qualsiasi azienda in questo momento storico.
Quali sono, secondo te, le sfide, gli ostacoli, le difficoltà, le fatiche o le resistenze da affrontare nel percorso di costruzione di un’organizzazione positiva che mette davvero la persona e il suo benessere al centro?
Non temo che la positività, la disponibilità verso l’errore, il tentativo, la sperimentazione metta a rischio il mio fatturato, anzi: credo e sperimento il contrario.
Come dicevo prima, credo però che il nemico principale della fiducia sia lo scetticismo. La fiducia è una pianta: ha bisogno di cura e alimentazione costante. Una volta cresciuta tutti ne riconosceranno la bellezza e l’importanza, ma nel delicato processo di crescita, ci si focalizza sulla sua fragilità. Soprattutto: la pianta all’inizio è un seme, che non mostra nulla di quello che sarà. E nessuno investe sull’ombra e la freschezza cui darà luogo un seme se ha desiderio di ripararsi. Preferisce un ombrello ora a una quercia dopo..
Ecco: credere, curare, nutrire le potenzialità di una persona e di una comunità è il lavoro più difficile, complesso ma anche il più bello che implica il mio ruolo
Cosa diresti ai tuoi colleghi AD, imprenditori, CEO per convincerli che vale la pena investire sul benessere delle persone e che ha senso iniziare a costruire organizzazioni positive?
Scommettere sulla fiducia e la positività fino a qualche tempo fa era visionario, era un nice-to-have. Ora è decisamente un must-to-have. Bisogna farlo, se non perché ci si crede, almeno se si vuole garantire la sopravvivenza della propria organizzazione.
Bisogna avere fiducia nelle proprie risorse e nella ricchezza del mondo circostante.
Del resto, siamo di fronte a un cambio di paradigma epocale. La forza delle grandi corporation si è fondata fin qui sulla Large Scale Economy, ovvero sulle economie di scala derivanti dalle dimensioni, da processi produttivi standardizzati e dalla separazione rigida delle funzioni adottate per organizzarli.
Ora, questo fattore di forza rischia di diventare ragione di crisi. Strutture così grandi necessitano di rigide relazioni gerarchiche, di compiti strettamente definiti che respingono la categoria dell’errore, e quindi del tentativo, e che posseggono per questo un’implicita inerzia all’adattamento. Nell’era della condivisione è però possibile raccogliere numeri, competenze e risorse in maniera libera, massiva e disintermediata, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, senza bisogno di macrostrutture.
Quindi è tutto finito? Forse no. Se si cambia ottica. La competizione nel mondo dell’innovazione non può essere chiaramente giocata nel campo dell’agilità. Bisogna cambiare punto di vista e far diventare il fattore di crisi una opportunità di crescita. Le grandi dimensioni hanno lo svantaggio di essere poco reattive, è vero, ma conservano comunque un vantaggio per così dire “gravitazionale”, la capacità di attirare un buon numero di talenti. Il punto però è che bisogna cambiare il modo di gestirli e formarli: da un’organizzazione gerarchica, rigida, verticale che forma su questa base le proprie risorse, a una formazione permanente, immersa ogni giorno laddove accadono le cose, cioè spesso fuori dai classici confini aziendali. Avere la determinazione e la lungimiranza di rimettere nel mondo le proprie risorse umane, rivitalizzandole.
È necessario abilitare un apprendimento permanente verso le nuove competenze in continua evoluzione di cui il mondo si popola in continuazione, una palestra dell’innovazione, un “work out the future”. Non costruire quindi solamente le competenze all’interno dell’ufficio ma accompagnare ogni giorno il lavoratore a cogliere, e direi, a scoprire, a frequentare i luoghi dove esse vivono.
Dalla large scale economy è necessario evolvere verso il Large Scale Learning. Il modello di questo passaggio è quello delle organizzazioni positive.
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